Non è uno, come trapelato nei giorni scorsi, sono due tra i più grossi gestori americani i futuri azionisti di peso di Telecom Italia. Accanto al fondo Usa  Blackrock e alla spagnola Telefonica, ad aver acquistato quote consistenti del prestito convertendo – cioè che verrà convertito in azioni alla scadenza nel 2016 – lampo da 1,3 miliardi di Telecom Italia emesso e venduto fra il 7 e l’8 novembre scorso, c’è anche la Och Ziff capital management che ha operato attraverso la sua filiale inglese. Si tratta di una delle realtà più rilevanti, a livello globale, del settore: fondato nel 1994 da Daniel S. Och, ex Goldman Sachs, e dal suo braccio destro David Wibndreich, ex vicepresidente della divisione derivati azionari della stessa banca americana, il gruppo gestisce ben 39 miliardi, una somma, per intendersi, pari a quattro volte e mezzo il Pil di una Regione come la Basilicata. Per la Och Ziff, quindi, il convertendo Telecom è solo un piccolissimo investimento con un impegno da 40 milioni (il 3,08% del prestito) realizzato grazie ad “un trattamento prioritario nel processo di allocazione delle obbligazioni” in cui, però, come ha spiegato Telecom in una nota, sono state “rispettate le regole per le operazioni con parti correlate”. Ben più consistente l’impegno di Blackrock: il fondo statunitense, che gestisce 4mila miliardi e vanta fra i suoi clienti ben 86 delle cento più grandi fortune del mondo, ha messo sul piatto 200 milioni, pari al 15,38% del prestito, mentre gli spagnoli di Telefonica, soci di Telecom attraverso la holding Telco, hanno comprato titoli obbligazionari convertibili per 103 milioni pari al 7,92% di un prestito che promette di far discutere ancora a lungo.

Il consigliere indipendente, Luigi Zingales, ha ribadito infatti che se il prezzo dell’operazione può dirsi congruo e conveniente, non siano stati soddisfatti, a suo parere, i requisiti di correttezza sostanziale: “L’accesso alle informazioni è stato discriminatorio in una situazione in cui la domanda eccedeva tre volte l’offerta. Nel riparto è stata favorita Telefonica”. Argomento, quest’ultimo, che Telecom ha ammesso in una nota diffusa su richiesta della Consob: “Il trattamento prioritario è stato applicato a Telefonica vista la natura di mero veicolo, rispetto a una pattuizione rilevante per Telecom Italia, ascrivibile a Telco S.p.A., e dunque nella sua qualità di azionista indiretto e in trasparenza”. Una risposta che non è detto che sia sufficiente per le autorità di vigilanza. Tanto più che il ruolo di Telefonica non può che essere inquadrato nell’ambito del riassetto di Telco, la scatola che controlla Telecom e messo in relazione alla strategia internazionale del gruppo italiano. A partire dalla presenza in Brasile. Per Marco Patuano, già protagonista della controversa vendita di Telecom Argentina, il Paese sudamericano resta un asset strategico come ha ribadito, all’uscita da una riunione a suo dire “tranquilla” del cda del 5 dicembre.

Di certo della decisione del Cade, l’autorità di controllo brasiliana, che, in seguito all’aumento del peso di Telefonica in Telecom, ha chiesto agli spagnoli di uscire da Telco o di cedere le attività brasiliane infliggendo multe a Telefonica (ben 5 milioni) e a Tim Brasil (300mila euro), si tornerà a discutere nella prossima assemblea del 20 dicembre. Quando cioè Marco Fossati, socio al 5% di Telecom attraverso la Findim, e l’Asati, associazione dei piccoli soci Telecom cui ha aderito anche l’ex presidente Franco Bernabé, tenteranno di azzerare il consiglio di amministrazione del gruppo di telecomunicazioni. Con l’avallo di due grandi società di consulenti di voto ai soci, la Iss e la Glass Lewis che stimano come una revoca del consiglio “possa dare una maggiore trasparenza e una guida meno conflittuale sulla strategia della società in corso”.

E in particolare sulle scelte che verranno fatte proprio sugli asset del Brasile. Premesso, infatti, che il gruppo spagnolo guidato da Caesar Alierta non ha mai inserito Vivo, la filiale brasiliana, fra le attività cedibili e non ha intenzione di mollare proprio ora la partita Telco, appare plausibile immaginare che sia a favore della cessione di Tim Brasil. Operazione che potrebbe anche essere realizzata passando prima per una fusione con Vivo e poi per la cessione di alcuni asset ad altri operatori presenti sul mercato. “Sarebbe uno spezzatino a prezzo vile. Se l’operatore pubblico locale ne avesse un vantaggio, il Cade potrebbe avallare il pateracchio”, ha dichiarato il senatore Pd Massimo Mucchetti che ha sottolineato come sia “evidente che la cessione di Tim Brasil non corrisponde agli interessi dell’azienda Telecom ma a quelli di un suo azionista e concorrente qual è Telefonica”.

Con il timore che Telecom venga svuotata da attività di valore è intervenuto anche Franco Lombardi, il presidente dell’associazione dei piccoli azionisti Telecom, l’Asati, che, oltre a chiedere che la multa brasiliana ricada sui manager che l’hanno provocata e non sulla società, ha sollecitato un rapido intervento del premier Enrico Letta e del presidente della Consob, Giuseppe Vegas. “La decisione della Cade – ha spiegato in una lettera l’Asati – non fa che confermare ulteriormente quanto avviene in Italia ovvero il controllo diretto di Telefonica su Telecom Italia tramite Telco”. Una situazione insostenibile secondo i piccoli soci che chiedono alla vigilanza dei mercati di “emettere immediatamente una decisione analoga che sancisca formalmente un dato di fatto e imponga o il consolidamento del debito di Telecom Italia in Telco oppure lo scioglimento immediato dei patti Telco e quindi l’attribuzione ai singoli azionisti di Telco delle rispettive quote di Telecom Italia”.

L’Asati ha infine invitato il premier a “non tergiversare ulteriormente sul provvedimento richiesto dalla mozione promossa dai senatori Matteoli, Mucchetti e Gasparri. “Le norme richieste dalla mozione relative alla doppia soglia dell’Offerta pubblica di acquisto e sul controllo societario, non sono più rimandabili. Sono passati quasi 50 giorni”. Del resto anche l’approvazione del golden power, ovvero il potere di veto governativo relativo ad alcuni asset strategici la cui approvazione in 30 giorni è saltata all’ultimo minuto dalla mozione votata al Senato lo scorso 17 ottobre, è nel limbo degli atti del governo sottoposti ad approvazione del Parlamento. Proprio mentre lo scenario competitivo europeo si appresta a cambiare per rispondere alle esigenze di investimento in fibra. E il commissario all’Agenda digitale, Neelie Kroes, si sta battendo per un pacchetto telecom, da approvare entro fine anno, centralizzando le competenze a livello comunitario.

Sulla base di questo scenario internazionale acquista maggior valore l’appello del senatore Mucchetti che chiede al premier Letta di fare la propria parte: “Il governo non se ne può lavare le mani, nascondendosi dietro un golden power che non si applica alle società europee”. E richiama all’ordine i soci italiani di Telco, cioè Intesa, Generali e Mediobanca: “Dopo l’assegnazione del conveniente convertendo agli investitori amici e la cessione di Telecom Argentina in una notte, senza gara e senza benefici per lo stato patrimoniale del gruppo Telecom Italia, ci possiamo aspettare di tutto dal management prono al futuro padrone – dichiara Mucchetti – Ma vorrei ancora credere che Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo, tuttora azionisti di controllo di Telco, non se ne vogliano lavare le mani per trenta denari e coprire così il lavoro sporco a favore di Telefonica”. Denari che pero’ alle banche sono necessari per sistemare i propri bilanci. Un aspetto che il governo di Enrico Letta conosce bene visto che finora di regali alle banche ne ha fatti più di uno.

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