Che differenza esiste tra lavoro e mestiere? Fino a qualche tempo fa avrei utilizzato i termini, se non proprio come sinonimi, senza comunque pensare ad un sostanziale divario tra di loro. Parlando di mestiere avrei tranquillamente potuto sostituirlo con la parola lavoro e parlando di lavoro, forse non sempre, ma spesso, lo avrei sostituito con la parola mestiere. Durante una trasmissione radiofonica de La Voce del Ribelle, giornale online il cui direttore politico è il giornalista Massimo Fini, sentii accennare ad una diversità dei due termini, non si entrò troppo nel merito della questione in quell’occasione, ma nacque in me un bisogno di approfondimento a cui tento ora di dare soddisfazione con qualche piccola ricerca di significato e qualche riflessione personale.

Su wikipedia, digitando la parola mestiere, si viene automaticamente reindirizzati alla parola lavoro, quindi la sovrapponibilità dei due termini non è stato solo un mio automatico pensiero.

Lavoro deriva dal latino “labor” che significa fatica. Ancora oggi, in alcuni dialetti, il verbo lavorare può essere sostituito dal verbo faticare. Lavorare significa impiegare del tempo per un qualcosa di produttivo attraverso il quale si riceve un compenso economico.

La parola mestiere deriva dal latino “ministerium” che significa servigio, officio. La definizione di mestiere rimanda all’esercizio di un’arte meccanica  che si compie per guadagno, ma rimanda molto alla manualità al lavoro. Più ci si esercita più si migliora e nasce una professionalità.

Il mestiere, rispetto al lavoro, ha anche in sé l’idea dell’apprendimento, non mi invento il mio operare, a meno che non sia un’artista o abbia particolari doti innate, qui entrerebbe in campo il talento, se non addirittura il genio.

Entrambe le definizioni sottolineano la necessità di un guadagno, laddove con esso si intenda la possibilità di rendersi autonomi nel procurarsi i servizi base necessari al proprio mantenimento e quindi al vivere. Il lavoro però è strettamente associato alla necessità di procurarsi del denaro, mentre il mestiere non si limita a questo.

Nel concetto di lavoro la produttività è maggiormente legata ad uno sforzo, nel concetto di mestiere vi è qualcosa di più legato alle proprie capacità personali (le mani come simbolo del saper fare, intimamente legate al saper essere, in quanto estensione diretta del proprio corpo) e, quando si parla di capacità personali, si parla di potenzialità e, quando si parla di potenzialità, si parla di creatività.

Lavorare può essere  stancante, faticoso e può non aderire ai nostri bisogni più intimi, mentre esercitare un mestiere può essere stimolante e renderci capaci di creare un qualcosa in un senso molto ampio.

Penso alla mia professione, lo psicologo, o comunque a tutte quelle in cui la relazione di aiuto è il perno, a creare non sono le mani, ma le parole. Il senso è però identico, esercitiamo un mestiere e non un lavoro e così per molte altre professioni.

Il mestiere si sceglie, il lavoro non necessariamente. Nel momento in cui si ha bisogno di un guadagno impellente non si può che adeguarsi ad un lavoro, qualsiasi esso sia, ma per soddisfare esigenze più intime abbiamo bisogno di un mestiere.

Dopo la rivoluzione industriale l’idea della necessarietà e della virtù del lavoro ha messo radici profonde nell’immaginario collettivo, ci siamo convinti che lavorare sia un diritto (“l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” recita la nostra Costituzione) quando è solo ciò a cui siamo abituati per mantenere un sistema che fa dell’uomo una semplice ruota, anziché il suo motore. Un tempo non troppo lontano, almeno, lavorare 8 ore al giorno 5 giorni su 7, anche se  alienante, dava garanzia di stabilità e la possibilità di progettare il proprio futuro e costruire qualcosa, questo rendeva non solo la cosa accettabile, ma auspicabile. Oggi, con il precariato che impera, il lavoro, mantenendosi comunque nella cornice mentale e concreta della necessarietà economica, crea un abisso tra i bisogni della persona e le possibilità che ha per soddisfarli.

E’ necessario vivere, non lavorare con i ritmi e le paranoie della società moderna. E’ una vera e propria violenza esercitata sull’individuo che si rifugia in ansie, nevrosi, depressioni e suicidi che prima della Rivoluzione Industriale avevano numeri decisamente più contenuti.

Il lavoro quindi non ha un approccio nei confronti del singolo e dei suoi bisogni/potenzialità , ma obbedisce a leggi sociali e culturali ormai incancrenitesi su di lui, il mestiere ha avuto ed ha ancora la possibilità di mettere la persona al centro.

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