Dal “vice Papa” di Benedetto XVI al “premier” di Francesco. Dopo sette anni finisce l’era di Tarcisio Bertone al vertice della Segreteria di Stato con l’arrivo dal Venezuela del nunzio Pietro Parolin e il ritorno alla vecchia scuola diplomatica di Agostino Casaroli e Angelo Sodano. È la prima volta che Bergoglio sconfessa Ratzinger che aveva scelto un suo fidato collaboratore, totalmente a digiuno di diplomazia, per il ruolo di Segretario di Stato. Un inedito assoluto nella storia recente della Chiesa di Roma che aveva visto la ferma opposizione dell’allora “premier” uscente Sodano che oggi, decano del collegio cardinalizio, assiste alla sua rivincita con la scelta, da parte di Papa Francesco, del suo “delfino” Parolin per il ruolo più importante nella Curia romana. Era stato, infatti, Sodano, nel 2002, a scegliere Parolin come viceministro degli esteri vaticano.

Nel 2006 Bertone, catapultato dalla sede arcivescovile di Genova in Segreteria di Stato, si trovò a collaborare con quello che sarebbe diventato oggi il suo successore fino al 2009 quando, con il più classico dei promoveatur ut amoveatur, ottenne da Benedetto XVI l’ordinazione episcopale di Parolin e la sua nomina a nunzio in Venezuela. Liberata la poltrona di viceministro degli esteri vaticano, Bertone chiamò in quel ruolo il suo fidatissimo Ettore Balestrero al quale affidò i delicati rapporti della Segreteria di Stato con lo Ior presieduto da Ettore Gotti Tedeschi.

Con la fine dell’era del salesiano Bertone, che rimane ancora presidente della commissione cardinalizia di vigilanza sulla banca vaticana e camerlengo di Santa Romana Chiesa, si chiude definitivamente il pontificato di Benedetto XVI che ha visto, per sette anni, un inedito “duumvirato” in cui Ratzinger ha demandato quasi completamente il governo nelle mani del suo “premier”.

Il curriculum di Parolin, scelto da Papa Francesco quattro giorni dopo la sua elezione al pontificato, come rivelato dal cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, è inattaccabile. Significativi, in particolare, sono stati i risultati ottenuti nel dialogo della Santa Sede con il Vietnam e la Cina popolare. Fu proprio grazie a questo delicato lavoro diplomatico di Parolin che, nel 2007, Benedetto XVI inviò un’inedita lettera ai cattolici cinesi col tentativo di concretizzare “il disegno non compiuto di Giovanni Paolo II di pregare a Mosca e a Pechino”, come ha scritto il cardinale Michele Giordano, membro della sezione della Segreteria di Stato che si occupa della politica estera negli anni del pontificato di Wojtyla. Terminato il lavoro a Roma, nella nunziatura di Caracas Parolin ha fronteggiato i rapporti sempre burrascosi della gerarchia cattolica locale con il presidente venezuelano Hugo Chávez.

Bergoglio al suo Segretario di Stato, però, ha chiesto di coniugare il suo delicato lavoro diplomatico con la dimensione pastorale. Ricevendo i nunzi apostolici di tutto il mondo e ovviamente anche Parolin, nel giugno scorso, Papa Francesco ha ricordato che anche i rappresentanti pontifici sono pastori. “Non insegnerete a una porzione particolare del popolo di Dio che vi è stata affidata – ha detto loro Bergoglio – non sarete a guida di una Chiesa locale, ma siete pastori che servono la Chiesa, con ruolo di incoraggiare, di essere ministri di comunione, e anche con il compito, non sempre facile, del richiamare. Anche nei rapporti con le autorità civili e i colleghi voi siete pastori: ricercate sempre il bene, il bene di tutti, il bene della Chiesa e di ogni persona”. Ai nunzi Bergoglio ha indicato l’esempio di Casaroli che mentre era protagonista della cosiddetta “diplomazia dei piccoli passi” andava a giocare con i giovani detenuti del carcere minorile di Casal del Marmo. Proprio lì dove Papa Francesco ha voluto celebrare il suo primo giovedì santo.

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