Tra le righe del decreto per la scuola, salta fuori la questione dei libri scolastici (e relativo costo) con l’immancabile riferimento agli e-book, la parolina magica che vorrebbe infarcire d’innovazione il futuro della nostra scuola. Peccato che, come molte altre “innovazioni”, sia stata fatta coi piedi. Qualche mese fa mi è capitato di intervistare sul tema Giorgio Palumbo, Presidente del Gruppo Educativo dell’Associazione Italiana Editori. Una chiacchierata molto istruttiva, dalla quale sono uscito con un’unica certezza: i “libri elettronici” made in Italy non ci saranno mai.
Partiamo dall’inizio. Quando si parla di e-book, normalmente, ci si riferisce ai formati (ePub, Mobi e simili) che vengono letti normalmente con i cosiddetti e-reader, dispositivi piuttosto economici che hanno uno schermo senza retro-illuminazione e funzioni limitate alla visualizzazione di testo e immagini (in bianco e nero). Insomma: una versione elettronica di un normale volume cartaceo e che permetterebbe di risolvere parecchi dei problemi legati ai libri di testo, a partire dai costi per arrivare al famigerato peso sulle spalle degli alunni. Non una rivoluzione epocale, ma un bel salto in avanti. È questo che prevede la riforma voluta da Profumo? Ovviamente no.
Perché la normativa prevede che i testi digitali debbano avere “contenuti interattivi e multimediali, fruibili via Internet sia in classe che a casa”. Ecco, questo con gli e-reader non si può fare. Quello che servirà, dunque, è un tablet. Bella idea? Forse, ma oltre alle perplessità degli editori, c’è più di “qualche dubbio” in tema di fattibilità e opportunità anche sotto profili più pratici.
Partiamo dall’opportunità. I tablet hanno schermi retroilluminati che, alla lunga, stancano la vista. Considerato che uno studente passa già parecchio tempo davanti alla Tv (sempre meno) e al computer (sempre di più), l’uso del tablet per lo studio a scuola e a casa aggiunge un buon 8-9 ore di sollecitazione alle retine dei ragazzi.
Non sono incoraggianti nemmeno le considerazioni sui costi. Non solo perché un tablet costa molto più di un e-reader, ma anche perché creare contenuti interattivi e multimediali ha un costo che si riverserà inevitabilmente sulle famiglie. In tutto questo, c’è da dire anche che l’aliquota Iva del 21% prevista per il formato elettronico (per il cartaceo è il 4%) non aiuta molto in questo senso, nemmeno nell’adozione dei semplici e-book.
Arriviamo, infine, alla fattibilità. Nel liceo che ho frequentato studiavano 900 studenti. Non credo che ora siano molti meno. Qualcuno ha idea di che tipo di infrastruttura e di connessione sia necessaria per fornire un decente accesso a Internet a 900 persone collegate contemporaneamente attraverso la stessa rete? Ma c’è anche qualche “piccolo” problema legato all’autonomia dei dispositivi. Un tablet sfiora nella migliore delle ipotesi le 10 ore, destinate a scendere se si fa uso di funzioni particolarmente dispendiose come la visualizzazione di video. È un po’ che non frequento le aule scolastiche, ma non mi risulta che i banchi dei nostri studenti siano dotati di prese di corrente alle quali i ragazzi possano collegare il tablet per ricaricarlo. Vero che il problema si pone anche con gli e-reader, ma questi ultimi arrivano a 15-20 ore di funzionamento continuo, dimezzando il rischio di trovarsi mezza classe a corto di batteria durante le lezioni.
A tutto questo ci sarebbe da aggiungere qualche considerazione sull’opportunità di adottare come strumento di studio un aggeggio che consente di utilizzare durante le ore di lezione chat, videogiochi e browser per la navigazione sul web. Ma questo è un problema squisitamente educativo, che gli insegnanti (purtroppo) rischiano di non dover affrontare mai.
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