Al Cairo il sangue scorre all’alba. Prima che il sole sorge i poliziotti egiziani caricano i candelotti lacrimogeni nei corti fucili si schierano nei punti chiave attorno alle due piazze dove da settimane i supporter del deposto presidente Morsi sono asserragliati e lanciano l’assalto.

Da terra e dal cielo (posizionati sui tetti degli edifici e dagli elicotteri a bassa quota) sparano lacrimogeni, pallottole (forse non solo) di gomma. Sgomberano con la forza gli accampati: bambini (usati come piccoli scudi umani, avevano accusato le fonti del governo) e adulti fedeli ai Fratelli Musulmani.

E’ l’inizio di un lungo giorno di morte per la megalopoli sul Nilo. Decine di testimonianze via internet, telefonini e tv, raccontano di colpi di arma da fuoco che coprono i canti corali dei manifestanti, dispersi dalle piazze in tutte le strade in vaste aree della città. Liberati i luoghi della protesta, i supporter musulmani hanno inscenato manifestazioni più o meno organizzate – e più o meno violente – al Cairo e ad Alessandria.

Quanti morti si potranno contare alla fine del giorno più violento dal golpe (legittimato dall’opposizione egiziana e da buona parte della comunità internazionale) militare è arduo calcolare. Negli obitori improvvisati visitati da giornalisti arabi e occidentali sono stati contati decine di corpi. I Fratelli musulmani, falcidiati da una retata prima del doppio blitz, parlano di migliaia di vittime.

E’ solo l’inizio di una battaglia senza quartiere nella sterminata capitale accaldata ed eccitata nella quale vivono una ventina di milioni di abitanti, di cui circa un milione si era mobilitato per chiedere il ritorno di Morsi.

Per un mese su tutto il paese vigerà lo stato di emergenza.    

 

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