Davvero il ministro Alfano non sapeva della ‘rendition’ che ha riportato in Kazakistan Alma Shalabayeva e sua figlia Alua? Le ricostruzioni di queste ore sembrano mettere in dubbio la tesi di un Alfano all’oscuro di tutto. Che fosse immediatamente prima, o immediatamente dopo il “rapimento”, il ministro dell’Interno qualcosa deve avere saputo, ma non ha agito fino allo scorso venerdì, quando insieme ai colleghi Cancellieri e Bonino e al premier Letta è stato deciso di revocare il decreto di espulsione. Troppo tardi, come è noto, visto che la moglie del dissidente kazako si trova oggi in patria, sottoposta ad obbligo di dimora. 

La ricostruzione del ruolo del Viminale
Di certo, ricostruiscono tanto il Corriere della Sera che Repubblica, il ministro non sapeva ma il suo staff sì. Sapeva il capo di Gabinetto di Alfano, Giuseppe Procaccini, che viene contattato il 27 maggio dall’ambasciatore kazako Adrian Yelemessov dopo che questi ha inutilmente tentato di contattare Alfano in persona. Il dissidente Ablyazov sarebbe a Casal Palocco e i kazaki chiedono che sia arrestato in quanto pericoloso criminale. Il giorno dopo, secondo la ricostruzione, Procaccini incontra lo stesso Yelemessov e il suo primo consigliere. All’incontro partecipa anche il prefetto Alessandro Valeri, capo della segreteria del dipartimento della Pubblica Sicurezza – l’ufficio del capo della Polizia, in quei giorni vacante prima dell’insediamento di Pansa che sarà nominato il 31 maggio e si insedierà il giorno dopo. Valeri mette in moto il vice capo della Polizia Francesco Cirillo e il capo della squadra mobile Renato Cortese. Da lì in poi, secondo le risposte rese a Repubblica dall’entourage del ministro e secondo la versione ufficiale, Alfano non saprà più nulla, non verrà più contattato né interpellato sulla materia. E’ davvero così? Di certo, l’efficienza comunicativa non corrisponde alla celerità con cui quella stessa sera scatta il blitz nella villa di Casal Palocco: Ablyazov non c’è. Sua moglie e sua figlia sì, e si avvia la rapidissima procedura di espulsione più volte raccontata che porta al rimpatrio della donna e della bambina il 31 maggio con il jet privato noleggiato dalle autorità kazake. 

La Farnesina e l’ufficio cerimoniale
Solo allora, a cose fatte, nella versione ufficiale entra in scena anche il ministro degli Esteri Emma Bonino, che viene informata dell’accaduto dallo studio Olivo-Vassalli che difende la donna il giorno 31 e a sua volta informa Letta e Alfano. E’ la stessa Bonino a spiegare a Repubblica di avere raccontato della vicenda il 2 giugno alla parata per la festa della Repubblica: il ministro degli Esteri prende da parte il collega dell’Interno e il premier Letta che sembrano cadere dalle nuvole. Bonino descrive un Alfano ‘furibondo’: “Gli dissi di seguire il caso Kazakistan di persona”. 

“Sono ben consapevole della gravità di questa vicenda – continua Emma Bonino – e della pessima figura fatta dall’Italia, e non a caso dalla notte del 31 maggio, da quando ne sono venuta a conoscenza, quasi non mi sono occupata d’altro. Tutto quello che posso fare io lo farò. Qualcuno dovrà pagare, dovrà dire davanti all’opinione pubblica: si sono stato io”. Bonino dice di non aver pensato alle dimissioni: “Quando ho saputo di questa storia quella poveretta era già in Kazakistan, non sarebbe servito a nulla un gesto politico di quel tipo”. Il ministro si dice “convinta che, a livello politico, i ministri non fossero informati, il che è ancora peggio per certi aspetti. Non c’è traccia di un coinvolgimento del livello ‘politico’ in questa storia. Evidentemente – osserva – la pressione da parte del Kazakhstan è stata fortissima, ma si è scaricata ai livelli più bassi. Può darsi che abbiano approfittato del vuoto di potere al vertice degli apparati prima del 31 maggio”.

Non tutti i dettagli sono chiariti, tuttavia. L’ufficio cerimoniale della Farnesina è informato dell’esistenza della donna già dal 29 maggio, quando risponde con un fax alla richiesta di informazioni della Questura che vuole conoscere eventuali coperture diplomatiche della donna. Per il ministero era impossibile collegare Alma al marito, in quella occasione, perché il cognome usato era quello da nubile. Una posizione ribadita ancora oggi in via ufficiale dal ministero con una nota.

“Con riferimento ad alcune interpretazioni apparse su organi di stampa odierni sul provvedimento di espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua – si legge – la Farnesina ribadisce che: il Ministero degli Esteri non ha alcuna competenza in materia di espulsione di cittadini stranieri dall’Italia né, in base alla normativa, ha accesso ai dati relativi a cittadini stranieri ai quali sia riconosciuto da Paesi terzi lo status di rifugiato politico”. La Farnesina poi precisa che “la sola prerogativa del ministero degli Esteri è di verificare l’eventuale presenza nella lista di agenti diplomatici accreditati in Italia di nominativi che possano essere di volta in volta segnalati dalle autorità di sicurezza italiane”. Infine, conclude la nota, “nel caso di specie, in conformità con la prassi vigente, nessuna indicazione è stata fornita alla Farnesina circa i motivi della richiesta di informazioni sull’eventuale status diplomatico della signora Shalabayeva”.

Quaranta giorni persi
Insomma, il ministero degli Esteri ha risposto a domanda specifica con risposta specifica. E in questo modo si tira fuori dai giochi. Restano molti altri dubbi. E’ possibile che il ministro dell’Interno sia all’oscuro di ciò che sta succedendo nei giorni tra il 28 e il 31 di maggio quando i suoi funzionari sono coinvolti? E’ possibile che il ministro dell’Interno non sia informato di una operazione che coinvolge 40/50 uomini della polizia per arrestare un “pericoloso criminale” e si risolve con l’espulsione di sua moglie? La prima relazione sull’accaduto richiesta da Pansa alla Questura e all’Ufficio Immigrazione arriva al Viminale il 3 giugno. E allora perché quando la questione appare per la prima volta sui giornali – è il 5 di giugno – Alfano si affretta a dire che tutto si è svolto correttamente se poi – quaranta giorni dopo – Palazzo Chigi decide di revocare l’espulsione? 

“Cadranno delle teste”
Di certo qualcuno pagherà. E con ogni probabilità non sarà Alfano. Anzi, il ministro dell’Interno è pronto a “far cadere diverse teste”. Entro mercoledì prossimo, Alfano vuole sul suo tavolo la relazione dell’inchiesta interna commissionata al capo della Polizia Pansa. Il vice di Letta continua a sostenere di non avere saputo nulla. Lui ci fa una figuraccia, ma la carriera ce la rimetterà qualcun altro.

Questura di Roma: “Alma non è stata maltrattata”
Intanto la questura di Roma, facendo riferimento alle dichiarazioni di Alma Shalabayeva, ha smentito che la donna abbia subito maltrattamenti durante il blitz del 29 maggio nella villa di Casalpalocco. ”In relazione alle dichiarazioni rese agli organi di informazione da Alma Shalabayeva – si legge in una nota – si smentisce che la stessa abbia subito alcun tipo di maltrattamento nel corso dell’operazione di polizia giudiziaria, effettuata all’alba del 29 maggio e di cui è stato dato puntuale riferimento all’autorità giudiziaria competente”.

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