Il 20 maggio 1983, 30 anni fa, un team di ricercatori francesi diretti dal professore Luc Montagnier pubblicava sulla rivista americana “Science” un articolo in cui rivelavano l’esistenza di un nuovo virus, l’Hiv, responsabile della Sindrome da immunodeficienza acquisita o Aids. Per queste ricerche, Montagnier e la sua stretta collaboratrice, Francoise Barrè Sinoussi, ottennero il Nobel per la medicina nel 2008. Trent’anni dopo 34 milioni di persone vivono con questo virus, circa 1,8 milioni muoiono di Aids ogni anno, secondo i dati dell’Unaids, il Programma delle nazioni unite per l’Aids/Hiv, e un vaccino per distruggerlo ancora non è stato messo a punto.

In questa data simbolica una conferenza scientifica su tre giorni si tiene a Parigi per fare il punto sulla ricerca medica sull’Hiv. La recente interruzione di uno studio promettente condotto negli Usa per la fabbricazione di un vaccino preventivo della malattia, non ha tolto l’ottimismo a Francoise Barrè-Sinoussi: “Credo ancora in un vaccino contro l’Hiv, ma credo anche che per arrivarci bisognerà scuotere i dogmi sui quali riposa la ricerca in questo settore”, ha detto alla stampa transalpina il premio Nobel, la prima a definire nell’83 la natura dell’Hiv, un retrovirus capace di generare infezioni croniche scarsamente sensibili alla risposta immunitaria e spesso fatali.

“Dobbiamo esplorare nuove vie – ha aggiunto l’immunologa -. Fino ad ora tutti i potenziali vaccini contro l’Hiv sono stati un fallimento, nessuno di questi è riuscito a produrre anticorpi capaci di bloccare la penetrazione del virus nelle cellule. Dobbiamo identificare nei vaccini che funzionano, come quello contro la febbre gialla, i primi segnali della risposta immunitaria al fine di confrontarli con i tentativi falliti sull’HIV”. Se per il premio Nobel un vaccino un giorno sarà realtà, è difficile, impossibile, fare pronostici. Secondo Luc Montagner, virologo e biologo, che nonostante i suoi 81 anni continua a portare avanti la sua ricerca dividendosi tra Shanghai e Parigi, la migliore arma contro l’Aids resta al momento la prevenzione: “I giovani di oggi non hanno conosciuto i morti di Aids come le generazioni passate e dimenticano che si tratta di una malattia mortale”, ha detto Montagnier, intervenuto sulle pagine di Le Parisien.

Per il professore emerito dell’Institut Pasteur di Parigi, è prioritario che tutti i malati di Aids possano accedere alla triterapia che tiene in vita il paziente, ma non uccide il virus: “Bisogna capire perché il virus resiste alla triterapia – ha spiegato -. Credo che la pista dei cofattori microbici è molto interessante e può svilupparsi rapidamente. Se è confermata, l’epidemia sarà ridotta”. Grazie alla prevenzione e ai trattamenti, il numero delle infezioni è crollato negli ultimi anni: nel 2011 sono state 2,5 milioni, 700 mila in meno rispetto a dieci anni fa. E’ diminuito anche il numero di morti di Aids: 1,7 milioni nel 2011, 500 mila in meno rispetto al 2005. Circa il 70% dei sieropositivi vive nell’Africa subsahariana. Nel nostro Paese si stima che siano 170/180 mila le persone affette da Hiv e circa 40mila quelle con Aids. Tanti sono i progressi fatti negli ultimi anni, ma la vera minaccia, ora, è il calo dell’attenzione sul problema. Una minaccia che, in Italia, si sta già concretizzando: negli ultimi due anni, infatti, ben 30 bambini si sono infettati alla nascita, al momento del parto, perché le madri non sapevano di essere sieropositive, in quanto non avevano fatto il test durante la gestazione. Il 4 marzo scorso dagli Usa è arrivata la notizia che per la prima volta una bimba, nata sieropositiva, è guarita.

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