Bengasi, in Libia, è di nuovo sotto attacco. Dopo le granate contro tre stazioni di polizia, ieri un’autobomba è esplosa – uccidendo una quindicina di persone, tra cui molte donne e bambini – davanti ad un ospedale della città, teatro lo scorso 11 settembre del tragico attentato al consolato americano costato la vita all’ambasciatore Chris Stevens e ad altri tre statunitensi. Il Pentagono ha quindi deciso di spostare un contingente di circa 500 marine dalla Spagna alla base di Sigonella in Sicilia. La loro missione, ha spiegato il portavoce George Little, sarà di intervenire velocemente nel caso di nuovi attacchi al personale diplomatico e agli americani presenti in Libia ed eventualmente effettuare la loro evacuazione. 

Da Washington ieri fonti del Pentagono – al centro di aspre critiche per non avere inviato in tempo una forza di intervento durante l’attacco al consolato – avevano già annunciato che gli Stati Uniti erano pronti ad intervenire in caso di nuove minacce contro il proprio personale diplomatico con forze già posizionate. L’unità è dotata degli aerei da trasporto V-22 Osprey. Si tratta di un “convertiplano” (un bi-turboelica in grado di decollare come un elicottero e poi volare come un normale aereo). L’Osprey è in grado di trasportare fino a 24 soldati completamente equipaggiati alla velocità massima di 509 km/h.

L’esplosione all’ospedale di Al Jana ha fatto una strage. “Ho visto persone che raccattavano i corpi smembrati”, ha riferito un testimone alla Bbc. La forza della deflagrazione è stata tale da distruggere un ristorante e danneggiare alcuni edifici in zona. Una folla inferocita si è poi radunata sul luogo della strage, urlando contro i miliziani: “Rialzati Bengasi!”.

Nessuno ha rivendicato l’azione, ma secondo alcuni analisti la novità nell’attentato odierno è legata al fatto che questa volta è stato preso di mira un obiettivo civile. Altro fatto di non poco conto è che l’attacco è avvenuto in pieno giorno, e per la prima volta in una zona densamente affollata. Di solito gli attacchi sono commessi di notte o nelle prime ore del mattino. E’ un “atto terroristico”, ha dichiarato il ministro della Giustizia, Salah al-Marghani, affermando che le autorità “faranno tutto il possibile per arrestare i criminali”, lanciando poi un appello a tutti i libici ad “unirsi contro questi atti criminali”.

Bengasi, culla della rivoluzione che portò alla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011, non è nuova a bagni di sangue, che secondo fonti di intelligence occidentali, citate dalla Cnn, sarebbero orchestrati dai fondamentalisti islamici, alcuni con stretti legami con al Qaeda. L’insicurezza crescente in Libia è anche legata all’incapacità delle autorità a mettere in piedi forze di sicurezza capaci a far fronte alle provocazioni dei miliziani. Un esempio è il recente braccio di ferro intrapreso tra le due parti quando alcuni gruppi armati hanno assediato due ministeri a Tripoli, chiedendo l’epurazione dei politici e dei funzionari legati al vecchio regime.

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