Sono ben tre i rinvii che solo nel mese di aprile i tribunali italiani, per la precisione quelli di Milano, Catania e Firenze, hanno fatto alla Corte Costituzionale per la legge 40 sulla procreazione assistita in merito al divieto di fecondazione eterologa. Una legge smontata dalle aule giudiziarie, di cui rimane ben poco in vigore, come avevano previsto i suoi oppositori. Su sette divieti presenti infatti, quattro sono stati rimossi (divieto di produrre più di tre embrioni, di crioconservazione degli embrioni, di diagnosi preimpianto, e di accesso alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche), su due si attende l’udienza della Consulta (fecondazione eterologa e divieto di uso degli embrioni per la ricerca scientifica), mentre solo uno è ancora in vigore (accesso alla fecondazione a single e coppie gay).
Ciò che non è stato cancellato invece sono le difficoltà che devono sobbarcarsi le coppie italiane che devono ricorrere alla provetta per avere un figlio. Un quarto delle donne infatti migra al Nord, e il costo finale medio di un bambino in provetta (tra terapia, visite, esami, farmaci, ricoveri e parto) è di 12.300 euro. L’indagine presentata a dicembre dalla Commissione d’inchiesta della Camera sugli errori e il disavanzo sanitario mostra le luci e le ombre di questo percorso a ostacoli. Nel nostro Paese convivono infatti realtà di eccellenza con altre, dove a stento si riescono a garantire le prestazioni minime, dove non si riescono ad assumere i professionisti necessari, e c’è una grande disparità nella spesa delle risorse pubbliche. Non esiste infatti un unico drg nazionale (lo strumento con cui si classifica il ricovero) per la procreazione assistita (pma). ma ogni regione si regola come crede.
Secondo la ricerca, effettuata elaborando le risposte a un questionario arrivate da 96 centri su 351 (mancano quelle di Bolzano, Veneto, Molise, Puglia, Basilicata e Sardegna), il rimborso medio nazionale corrisposto dalle Asl delle diverse regioni è di 1.934 euro, e si oscilla da un minimo di 928 a un massimo di 3.547 euro, molto probabilmente, secondo la Commissione, perché specchio di performance diverse, di cui però nessuno può controllare i risultati. Altra voce che può generare spese alte è la prescrizione dei farmaci induttori dell’ovulazione (un ciclo può costare fino a 800 euro e spesso non basta), affidata alla responsabilità dei centri di pma solo nel 75% dei casi. Ciò significa che nel 25% dei casi esiste il rischio che queste vengano fatte da chi non è controllabile, ovvero vengano erogate senza responsabilità specifiche.
Secondo i dati della Commissione, tra gennaio 2011 e giugno 2012 sono stati 55.912 i cicli di fecondazione assistita portati a termine, di cui 32.875 al Nord-ovest, 9.133 al Nord-est, 11.951 al Centro (20%) e 5.954 al Sud e isole. Il maggior numero di centri pubblici si trova nel Nord-ovest, mentre tra le strutture che hanno risposto, la maggioranza di quelle private è al Sud e nelle isole, e il maggior numero dei privati convenzionati si trova in Lombardia. Alto il tasso di migrazione regionale. Su una media di 612 donne trattate per centro, 444 sono residenti, e 168 provengono da altre regioni. ‘Mete’ preferite di questo turismo procreativo interregionale sono Toscana, Val d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Lombardia, mentre la meno attrattiva è la Calabria. Nelle strutture pubbliche il numero di cicli completi effettuati è inferiore a quelli effettuati nelle strutture private o convenzionate, il che riflette un’offerta pubblica inadeguata rispetto alla domanda complessiva.
Complessivamente, avere un figlio ‘in provetta’ costa in media 12.300 euro. Il costo finale del cosiddetto ‘bimbo in braccio’ va da un minimo di 6.900 in Emilia Romagna al ‘record’ della Lombardia di 15.600 euro (anche se è un dato parziale visto che hanno risposto solo 18 centri di 5 regioni). In questa cifra rientrano tutti i costi della terapia riproduttiva, le spese per la gravidanza, visite, ecografie, esami, eventuali ricoveri, più i costi dovuti alle complicanze delle gravidanze plurime e iper-stimolazioni, del parto vero e proprio, generalmente cesareo in questi casi, e quelli delle complicanze sui nascituri, frequenti soprattutto nei parti plurimi (25 per cento circa). Sottraendo i costi di gravidanza, parto ed eventuali complicanze nel neonato, si ottiene la somma che pagano le famiglie che fanno ricorso al privato (in particolare nel Sud e nelle Isole, dove mancano i centri pubblici), che oscilla dai 3.000 ai 4.000 euro, o a un centro pubblico o convenzionato, che è di 213 euro. Una gran bella differenza.