Qual è il modo migliore per far capire a una classe di quindicenni diversificati per continenti, provenienze, condizioni economiche, appartenenze calcistiche, esperienze esistenziali, che davvero la misura è colma?

Lo scenario è un istituto professionale di Torino; il prof uno di età e carisma tali da potersi permettere una provocazione “divergente”: “La Repubblica deve, secondo la Costituzione, rimuovere gli ostacoli che impediscono alle persone di avere un pieno sviluppo; per questo motivo istituisce scuole statali di ogni ordine e tipo, aperte a tutti e gratuite. Per quale motivo, invece, la vostra reazione di massima è il totale disinteresse di fronte a qualsiasi proposta? Per quale motivo pensi che questo comportamento sia giusto, insieme a ritardi, mancate giustificazioni, disturbo e così via? Per quale motivo ritieni che la Repubblica debba continuare a investire fondi che arrivano dalla tasse di tutti  di fronte a questi comportamenti? In che cosa gli adulti hanno eventualmente sbagliato? Quali sono i tuoi consigli per uscire da questa situazione?”. Dopo il primo disorientamento, qualche brusio, sguardi increduli, silenzio: brains at work!

Ci sono quelli tutto disfattismo: “alcuni argomenti mi sembrano un po’ noiosi”; “forse la causa del disinteresse è più che altro la mancanza di voglia”; “ammetto che alcune proposte le ritengo noiose”. I vorrei, ma non riesco: “La via di fuga è maturare”.

Ci sono quelli che, come in una favola di Esopo, riescono a trarre una morale edificante: “Non è giusto che noi abbiamo tutto e di più e la possibilità di andare a scuola mentre ci sono persone e bambini che non stanno bene economicamente e non hanno tutti questi privilegi”; anche un po’ sgrammaticati: “E se la Repubblica dovrebbe investire fondi a questi [comportamenti, ndr], sarebbe uno spreco”.

Ci sono i più realisti del re: “In effetti di motivazioni valide non ce ne sono”; “So che è sbagliato mirare al sei e non al dieci, ma io sono abituato a questo e non posso farci  niente”.

Ci sono i rei confessi: “questa è una generazione di svogliati”; “siamo troppo liberi”; “abbiamo avuto tutto nella vita, tutto ciò che ci facesse perdere lo stimolo della curiosità, ormai bloccata già a 3 anni per via della televisione. Totale disinteresse; crediamo che i compiti o lo studio siano punizioni”; “Non è disinteresse, è mancanza di voglia”; “C’è chi pensa che sia tutto un gioco”; “Così scatta il meccanismo ‘ne ho due balle così’ e si fa il minimo sindacale a scuola e si aspetta l’uscita, indipendentemente da che argomento si tratti”; “Non è giusto che vengano tolti dei soldi alla gente che ha lavorato giustamente per tutta la vita e vengano investiti in scuole, per avere delle condizioni buone, se non c’è serietà da parte nostra. Ormai girando per le classi, penso che venire a scuola non è assolutamente per imparare delle cose che ci possano servire nella vita, ma per fare gli stupidi, stare con amici,‘farci i fighetti’”.

Ci sono i velleitari e i visionari: “La scuola la gestiamo da soli”; “Penso ci sia un retrocedimento della società, nei giovani e nell’adolescenza soprattutto e soprattutto per colpa dell’eccessiva innovazione, la vita è troppo facile”.

Ci sono i cinici: “Ritengo che si debba investire per il bene del Paese per assicurare l’uscita di alcune menti brillanti dalle scuole; investono per mantenere un livello di intelligenza tra la popolazione italiana agli occhi del mondo”; “Non investire nell’istruzione provocherebbe gravi danni alle persone addette tipo professori e compagnia e gravi danni alle infrastrutture, penso per il disuso. La Repubblica ovviamente non è al corrente della situazione all’interno della scuola come di tante altre cose”.

Ci sono i costruttivi/collaborativi: “Lo Stato dovrebbe continuare a fare investimenti [ha chiesto se poteva usare questa espressione – ndr] sulle persone che vogliono veramente fare qualcosa”; “Questo tema mi sta facendo pensare e ancora non sono arrivata a una risposta; molto probabilmente non c’è un motivo ragionevole”; “Però sono venuta qua [è straniera comunitaria – ndr] per fare qualcosa in questa vita, per avere un futuro migliore”; “Sono consapevole che a queste domande non c’è una vera e propria risposta”; “La Repubblica deve continuare a investire fondi che arrivano dalle tasse di tutti perché ci sono anche persone a cui interessa seriamente imparare qualcosa”.

Ci sono gli entusiasti a prescindere: “Penso che la Repubblica debba investire su di noi, perché noi siamo il futuro”; “La Repubblica dovrebbe continuare a investire fondi perché una volta che diventiamo più grandi e maturi la voglia di lavorare ci sarà”. Anche qui qualche piccola défaillance: “la Repubblica investe sulla gioventù per avere un futuro migliore  e migliorare il mondo e secondo me a (sic!) qualche speranza”.

Ci sono i futuri elettori consapevoli: “La Repubblica per me è obbligata a mettere fondi sulle scuole, ospedali e servizi pubblici, perché le tasse vengono pagate ed è giusto che le persone siano ricompensate con servizi”; anche con derive post maoiste: “Il mio consiglio sarebbe che quando un alunno aiuta un compagno in difficoltà a fare delle cose dovrebbe essere premiato per le sue azioni così altri vedono e vogliono anche loro il premio”; persino fan dell’eccesso di congiuntivo: “Io ritengo giusto che la Repubblica non ‘finanzi’ con le tasse di tutti le persone a cui della scuola non gliene freghi niente”; “Andare a scuola è un obbligo fino a una certa età, ma anche un diritto quindi dovremmo sfruttarla al meglio. Visto che tutti siamo uguali e tutti hanno il diritto a un insegnamento, secondo me bisognerebbe o cambiare ognuno di noi o chi è serio e vuole raggiungere dei livelli sfrutti ‘sta cosa delle scuole gratis”.

C’è un mondo, in queste frasi estrapolate dai loro lavori. Un mondo che va coltivato come un campo trascurato a lungo, da cui dipende invece la nostra sopravvivenza futura.

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