Nuovi aerei (gli F-35 sono ormai certi, visto l’inciucione governativo che si profila) e bombe nucleari ultimo grido: è radioso il futuro dell’Italia, grande potenza stracciona capace di strike nucleari ma non di pagare la cassa integrazione ai lavoratori.

La notizia del programma di ammodernamento delle bombe nucleari B61 esistenti in vari Paesi europei tra cui l’Italia, non è nuova. Il Pentagono l’aveva annunciata lo scorso novembre, ma era rimasta confinata nel cerchio ristretto degli specialisti fino a quando il quotidiano britannico The Guardian non l’ha rilanciata domenica scorsa.

Quattrocento le nuove bombe che saranno costruite entro il 2020, di cui un po’ meno di 200 dovrebbero essere destinate all’Europa. Una parte, tra le 60 e le 70, verranno in Italia. Una ventina direttamente assegnate al 6° Stormo dell’Aeronautica militare di base a Ghedi, non lontano da Brescia. Le altre alla base statunitense di Aviano. 

Dotti giuristi governativi, negli anni scorsi, avevano cercato di negare che l’Italia stesse da anni consapevolmente violando il Trattato di non proliferazione nucleare, entrato in vigore il 5 marzo 1970 e da noi ratificato. Ma non c’è dubbio che nelle nostre basi aeree siano ospitate da parecchi decenni bombe atomiche pronte per l’uso da parte degli aerei della nostra Aeronautica Militare. Il che ci mette inevitabilmente tra gli Stati che non rispettano il trattato stesso e dovremmo pertanto essere considerati anche noi un rogue state, uno stato canaglia,  secondo una definizione di reaganiana memoria ma applicata solo a quel pugno di nemici degli Stati Uniti, che vanno dall’Iran alla Nord Corea e che un tempo includeva anche l’Iraq (vi ricordate la storiella del Segretario di Stato Powell sui laboratori per le armi di distruzione di massa montati sui camion?). Noi evidentemente non lo sappiamo, ma le loro bombe fanno molto più male delle nostre o di quelle israeliane o pachistane o indiane e naturalmente molto, ma molto più male di quelle statunitensi.

Adesso, in concomitanza con l’arrivo degli F-35, le vecchie bombe nucleari B61 presenti in Europa e in Italia saranno sostitute da altre, completamente rinnovate e molto più precise perché dotate di un sistema di guida Gps. A pagare il conto saranno gli americani, che prevedono di spendere circa 10 miliardi di dollari per le bombe vere e proprie e un altro miliardo e ottocento milioni per il dispositivo di guida che verrà realizzato dalla Boeing. Ma a usarle saremo anche noi. 

È curioso come, mentre Washington si avvia a spendere quasi 12 miliardi di dollari per le nuove armi di Armageddon, nei giorni scorsi abbia messo a terra a tempo indeterminato, a causa delle restrizioni di bilancio, centinaia di caccia e altri aerei della US Air Force. Tra questi anche uno dei due squadroni del 31st Wing stanziato, appunto, ad Aviano.

Dodici miliardi di dollari: con questi soldi avremo le nuove B61-12, delle solide ed eleganti bombette, della potenza di 50 kiloton l’una, pronte giusto in tempo per l’entrata in servizio dei primi F-35. Molto più precise di quelle esistenti, tra l’altro. Quelle in servizio oggi hanno un paracadute che ne rallenta la discesa per evitare che l’esplosione coinvolga anche l’aereo che le lancia. Queste nuove, planeranno grazie agli alettoni di cui saranno dotate e piomberanno sul bersaglio con un errore di pochi metri per via della guida satellitare. 

Altre bombe andranno in Turchia, e probabilmente in Olanda, Belgio e Germania tutti Stati che già oggi ospitano armi nucleari. Dico probabilmente perché la Germania, ad esempio, tra una decina d’anni non avrà più cacciabombardieri capaci di  trasportare armi nucleari. I Tornado oggi in servizio (gli stessi usati anche dalla nostra Aeronautica) saranno infatti giunti alla fine della vita operativa e Berlino non intende dotarsi degli F-35. Gli Eurofighter Typhoon doppio ruolo che i tedeschi vogliono utilizzare sia in missioni di difesa aerea che di attacco al suolo, non sono infatti certificati per l’uso di armi nucleari e difficilmente lo saranno in futuro perché l’operazione costerebbe alcune decine di milioni che i tedeschi dovrebbero pagarsi da soli.

Si spiega adesso meglio per quale motivo il Governo tedesco, che nel 2010 aveva avviato una iniziativa per il ritiro delle armi nucleari tattiche dall’Europa, abbia poi lasciato cadere il progetto. Evidentemente, non disponendo più nel giro di pochi anni di una capacità di delivery nucleare, i furbi birrai si sono detti che la questione si sarebbe risolta da sola senza aprire contenziosi con gli statunitensi.

Ma si capisce invece il fervore degno di miglior causa con cui gli italiani hanno deciso di entrare nel programma JSF/F-35 sin dall’inizio, assieme agli inglesi. E spiega anche l’accanimento con cui difendiamo ancora questa spesa insostenibile nonostante i sette anni di ritardo del programma, i costi raddoppiati, le incertezze tecniche. Le bombe che stanno in Italia, quelle in uso esclusivo agli statunitensi in particolare, sono destinate principalmente a potenziali bersagli che stanno nell’area mediorientale. Se gli italiani dovessero uscire dal club nucleare surrogato al quale ci fanno partecipare, non ci sarebbe più nessuna giustificazione legale perché nel nostro Paese restino anche le armi nucleari in uso esclusivo agli statunitensi. E questo noi non lo vogliamo, vero?

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