“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.” Giuseppe Tommasi di Lampedusa, non poteva usare una citazione migliore, poiché questa frase riassume più di ogni altra il carattere intrinseco dell’Italia, quello spirito che la contraddistingue sin dall’unificazione e che oggi è più che mai evidente. Lo spirito della perenne conservazione.

Questa peculiarità poteva essere messa in crisi solo da un’iniziativa 5 stelle – Pd. Un governo con basi programmatiche comuni (dal conflitto di interessi alla legge elettorale, passando per la riforma della giustizia e quella del lavoro) tutti provvedimenti che oggi all’Italia servono più che mai. Poteva essere chiamato governo di scopo, governo di intenti o governo di transizione (poiché è evidente che centrosinistra e cinque stelle per forza di cose non avrebbero garantito una simbiosi duratura) ma ciò che era importante stava nel cambiamento, nella capacità di prendere sul serio le problematiche del nostro paese, contrastandole con riforme strutturali.

Purtroppo tutto questo non è accaduto, a causa della testardaggine grillina, la quale ha abiurato qualsiasi tipo di alleanza, in nome dello spirito massimalista firmato Grillo – Casaleggio. Allora, dopo il brutto spavento, l’establishment è tornato in voga capeggiato dal nostro presidente Napolitano, il quale non ha tardato a proporre la sua idea dei dieci saggi per dirigere i lavori. Dieci saggi, da non confondere con dieci uomini barbuti temprati dalla saggezza politica degna dei migliori statisti, bensì dieci saggi della conservazione. Dieci uomini (niente donne per carità) rappresentanti della “realpolitik” italiana (quindi niente rappresentanti 5 stelle) che hanno a lungo militato nelle stanze del “Palazzo” e che quindi sanno bene come si può fare tanto senza alterare il sistema. Stiamo parlando dei vari Violante (quello che teneva discorsi alla Camera nel 2003 per giustificare la mancata imputazione del conflitto di interessi a Berlusconi), Quagliariello (un tempo al Partito Radicale e poi convertitosi al Pdl) o Pitruzzella (nominato a capo dell’Antitrust, grazie all’amicizia di Renato Schifani) se ne potrebbero citare altri come i vari Mauro, Giorgetti ecc., tanto la sostanza è quella.

Anche questa soluzione però non convince allora ecco che arriva lui, il nuovo che avanza, il rottamatore, quello che vuole mandare a casa tutti, per dare inizio alla rivoluzione conservatrice. Abolizione delle province, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, eliminazione del Senato e sostituzione di questo con una Camera presieduta dai vari rappresentanti delle Amministrazioni regionali. Così potrà fare politica solo chi avrà il miglior sponsor a fianco, non a caso Renzi è uno di questi ( il suo amico Davide Serra, specializzato nella gestione di hedge-found  si è accollato 100 dei 800 mila euro di campagna elettorale per le primarie): non solo, con il Senato di fatto esautorato, la Camera avrà pieni poteri nel legiferare e senza un piano di copertura nella rappresentanza provinciale molti piccoli comuni d’Italia saranno totalmente inascoltati di fronte all’imponenza delle Regioni. Dimenticavo “dobbiamo ridurre i 2164 articoli del codice civile in 59/60 articoli traducibili in inglese”, come se il codice civile fosse un insieme di stupidaggini messe li a caso.

Ma d’altronde noi dobbiamo fare la rivoluzione conservatrice e possiamo dire che siamo sulla giusta strada, altrimenti c’è il rischio che questo Paese cambi davvero.
 

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