“L’indipendenza del presidente della Bce Mario Draghi non è minacciata dalla sua appartenenza al gruppo dei 30”, parola di Mediatore europeo. In questo modo il difensore civico dell’Ue ha bocciato il ricorso della Ong Corporate Europe Observatory (Ceo) che lo scorso giugno aveva sollevato il tema dell’incompatibilità dell’appartenenza di Draghi a questa organizzazione con l’indipendenza, la reputazione e l’integrità della Bce.

Detto G30, il gruppo dei 30 è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro fondata nel 1978 e composta da personalità di alto livello del mondo della finanza e delle banche che cerca di “approfondire questioni economiche e finanziarie per esplorare le ripercussioni internazionali delle decisioni prese nel pubblico come nel privato”, e di “esaminare le scelte a disposizione di operatori del mercato e politici”.

In questo gruppo, presieduto dal predecessore di Draghi alla Bce, Jean-Claude Trichet, troviamo grandi banchieri come Jacob A. Frenkel della JP Morgan e E. Gerald Corrigan della Goldman Sachs, ex presidenti della Federal reserve americana come Paul A. Volcker ed economisti di fama internazionale come il premio nobel Paul Krugman. In parole povere il lavoro quotidiano del G30 sembra essere quello di studiare come mantenere sani i mercati finanziari mondiali alla luce delle novità normative e dell’attualità economico finanziaria.

Lo scorso giugno la Ceo, associazione non governativa che monitora la quotidiana attività di lobby dei grandi gruppi di potere sul processo legislativo dell’Ue, ha presentato una denuncia al Mediatore europeo in quanto vedeva nell’appartenenza di Draghi al G30 un chiaro conflitto d’interessi. Un rischio che, secondo la Ceo, rischia di diventare da allarme rosso visti i maggiori poteri che l’Eurotower sta acquisendo in tema di sorveglianza bancaria e di acquisto di bond nazionali sul mercato secondario (piano OMTs).

Tuttavia, dopo aver esaminato la situazione, il Mediatore europeo, Nikiforos Diamandouros, ha respinto questo ricorso dal momento che, a suo avviso, il G30 “non può essere assimilato a una normale lobby di interessi finanziari privati, perché i suoi scopi, le fonti di finanziamento e i membri sono troppo diversi fra loro”. Di conseguenza, “l’appartenenza di Draghi” al gruppo “è compatibile con il suo ruolo”. Draghi viene infatti solo invitato a pubblicare sul sito della Bce la sua partecipazione al gruppo dei trenta “in nome della trasparenza”.

Ovviamente la Ceo non è d’accordo. “Creare un’élite pubblico-privata ristretta come il gruppo dei 30 si è dimostrato negli anni un mezzo molto efficace per i giganti della finanza di influenzare il processo legislativo mondiale. C’è un alto rischio che la Bce interpreti la sentenza del Mediatore come una carta bianca per lavorare a stretto gomito con lobbisti del calibro dei membri del G30”, ha detto Kenneth Haar della Ceo.

Insomma, dov’è il confine tra think-tank e lobby? La prima, in teoria, dovrebbe limitarsi a elaborare relazioni e pareri qualificati su determinate tematiche e metterle a disposizione del legislatore; la seconda, invece, cerca di influire direttamente nel processo legislativo facendo i propri interessi e quelli dei propri associati. Appare evidente che si tratta di un confine molto stretto.

Ma secondo la Ceo si tratta di lobby dura e pura. Due gli esempi del potere di questo gruppo (che tra l’altro si riunisce due volte l’anno in modo riservatissimo): la legislazione internazionale sui derivati e l’autoregolamentazione degli istituti finanziari. Per quanto riguarda i derivati, il G30 pubblicò ancora nel 1993 un rapporto in cui si sosteneva che questi prodotti finanziari altamente volatili non necessitavano di alcuna legislazione speciale. Inutile dire che questo rapporto finì sulla scrivania di pezzi da novanta della finanza mondiale.

Sull’autoregolamentazione, invece, il G30 fu molto attivo, con report e seminari, nella stesura dei risultati di Basilea I e II, gli accordi internazionali che a partire dal 1988 stabiliscono i requisiti patrimoniali minimi per gli istituti di credito. Basta guardare a quanto è stata abbassata l’asticella dei capitali obbligatori previsto dall’ultimo accordo di questo tipo, Basilea III, per capire come determinati interessi siano stati accontentati.

Ovviamente l’argomentazione principale a difesa dell’operato del G30 non può che essere quella di una maggiore coordinazione internazionale finalizzata alla tutela dei mercati finanziari e di conseguenza dell’economia reale e dei cittadini risparmiatori. Ma a giudicare dalla crisi esplosa nel 2008 e ancora irrisolta, i risultati non sono stati un granché.

@AlessioPisano

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