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L’Aquila: la scienza torna in tribunale come ai tempi di Galileo?

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Sta facendo il giro del mondo la notizia della condanna dei membri della Commissione Grandi rischi a sei anni di carcere per aver sottovalutato il pericolo e aver fornito informazioni imprecise e incomplete sul terremoto dell’Aquila. Questa sentenza, se confermata, rischia di condizionare profondamente il rapporto fra scienza e società. Quale scienziato oserà ora più avventurarsi in ricerche e studi che, se non verranno confermati, possono portarlo in galera?  

Basti pensare ai numerosi tentativi che sono serviti per sviluppare tanti preziosi farmaci e vaccini. Erano tutti sbagliati, ma senza quegli errori non si sarebbe mai arrivati a nessun risultato. Quello che molti osservatori stranieri non riescono a capire della faccenda è come si possa condannare uno scienziato per non aver previsto qualcosa di assolutamente imprevedibile come un terremoto, dove gli unici strumenti scientifici che possono servire sono la prevenzione e il calcolo delle probabilità.

Sembra che nel nostro paese ormai nulla si possa valutare né decidere se non attraverso un processo. Ma a prescindere dall’episodio in sé e dallo specifico caso del terremoto de L’Aquila, questo fatto è un ulteriore segno di deriva della società italiana. In tutti i campi, da noi oggi la scienza torna in tribunale come ai tempi di Galileo. Lo provano anche i tanti casi di medici denunciati dai loro pazienti per presunti errori o dalle famiglie di pazienti deceduti per malattie incurabili. Lo conferma l’evoluzione della normativa sulla responsabilità del medico, che espone sempre più la professione al rischio di risarcimenti smisurati, demolendo il rapporto fiduciario fra medico e paziente.

Ormai il cittadino italiano attribuisce alla colpa del medico anche quel che invece dipende solo dal fato e in paurosa coerenza con l’imperante moda dell’eterna giovinezza, pretende risarcimento se la morte bussa alla sua porta: colpa del medico che non l’ha tenuta fuori. Un atteggiamento perlomeno decadente, di una società devota all’effimero e incapace di futuro, che si consuma in un fatuo presente di cui concepisce solo l’immediata fruibilità ed è pronta, per goderne, a rapinare e ingannare fino a distruggere perfino la speranza dei propri figli.

Così il disperato italiano, adesso si mette a querelare terremoti e tumori convinto che una sentenza possa infine rendere legittima la sua assurta pretesa di immortalità.

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