In cerca di lavoro nell’Europa afflitta dalla crisi economica? Basta avere le conoscenze giuste!

Testata: The Washington Post
Data di pubblicazione: 24 settembre 2012
Traduzione di Grazia Ventrelli e Chiara Lo Faro per italiadallestero.info

ROMA – Maria Adele Carrai ha due Master conseguiti presso università italiane, in economia e in lingue asiatiche, e ora sta completando un dottorato di ricerca in diritto internazionale a Hong Kong. Le sue credenziali linguistiche sono formidabili. Oltre all’italiano, lingua madre, Maria Adele conosce l’inglese alla perfezione, una rarità in Italia, e poi francese, arabo, giapponese e mandarino.

Ma la ventiseienne, figlia di medici di un paesino vicino l’Adriatico, non possiede una chiave fondamentale per accedere al mondo del lavoro in Italia: la raccomandazione. Si tratta della parola giusta detta dalla persona giusta per ottenere un impiego, anche se magari per quell’impiego non si è tagliati.

Mentre la crisi economica che ha investito l’Europa offusca il futuro di milioni di giovani, la cultura delle conoscenze che sottende alle pratiche di assunzione nella gran parte del continente si sta radicando sempre di più, danneggiando qualsiasi prospettiva di ripresa. Questo malcostume chiude le porte ai giovani talenti o li spinge all’estero e contribuisce ad alimentare un circolo vizioso stagnante che minaccia di lasciare l’Europa indietro nella partita della globalizzazione.

“Ciò che conta non è la preparazione che hai ma chi conosci”, accusa Carrai, secondo quanto dichiarato ad AP in una testimonianza rilasciata su “Class of 2012” in merito alla devastante fuga di cervelli dal continente. A dirla tutta, avere delle buone conoscenze non fa mai male. Tuttavia, in gran parte dell’Europa, soprattutto nel Sud martoriato dalla crisi, si tratta spesso della carta vincente per un’opportunità economica. Secondo alcuni giovani ed esperti, senza questa chiave la prospettiva di una carriera promettente è scarsa.

Marco Pacetti, Rettore del Politecnico di Ancona, la mette così: “Negli Stati Uniti la rete di conoscenze è sì importante, ma bisogna soprattutto essere in gamba. In Italia invece, nessuno crede che coloro che si affidano alla raccomandazione abbiano anche competenza e merito.” “È questa la differenza fra una lettera di raccomandazione e una “raccomandazione”, aggiunge Pacetti con riso beffardo. In America, “chi scrive la lettera di referenze, si prende la responsabilità di segnalare una persona preparata, non un idiota.”

L’esempio dello scandalo che ha scosso la Sapienza di Roma, una delle più antiche e note università d’Italia, cade a fagiolo. In un caso denominato “parentopoli”, la moglie, la figlia e il figlio del Rettore della Sapienza sono riusciti a procurarsi posti di insegnamento prestigiosi pur non avendo le qualifiche richieste. Ma il peggio è avvenuto quando è emerso che il figlio del Rettore aveva superato l’esame di cardiologia davanti a una commissione d’esame composta da tre dentisti e due igienisti dentali.

Anche la Spagna ha il proprio sistema di reti di conoscenze profondamente radicato, chiamato “enchufismo”. Proprio come in Italia, si tratta del prodotto di una cultura mediterranea che affonda le radici in una fitta rete familiare in cui i membri del clan si preoccupano l’uno dell’altro. Sono molti i cittadini dell’Europa meridionale che nutrono una mancanza di fiducia praticamente innata verso lo Stato, spesso sinonimo di corruzione. In questa prospettiva, la famiglia è l’unica istituzione su cui poter contare.

In Spagna, la rete delle conoscenze ha assunto un ruolo secondario durante il boom economico che ha interessato il Paese dalla fine degli anni ’90 fino al 2008, ma ha riconquistato una posizione di primo piano ora che la disoccupazione ha toccato punte che sfiorano il 25%.

“In Spagna il fenomeno dell’enchufismo non è nuovo, tuttavia, negli anni del boom era possibile accedere a un colloquio e ottenere un impiego, anche senza ricorrere alla rete delle conoscenze,” sostiene Maria Astilleros, insegnante disoccupata di Madrid. “Da quando la crisi ci ha travolti, i colloqui sono sfumati e siamo ritornati punto e d’accapo all’enchufismo”.

Maria Astilleros di recente è stata convocata per un colloquio per la prima volta in due anni presso una società di relazioni pubbliche poiché il titolare, non a caso, è un cliente di suo zio.

Secondo Gayle Allard, professore americano di Economia Manageriale presso la IE Business School di Madrid, circa il 95% degli impieghi in Spagna sono il frutto di conoscenze. “È una delle cose che più mi hanno colpito della Spagna”, sostiene Gayle Allard. “Per cambiare lavoro, devi avere la tua rete di contatti”.

Secondo il professore, una cultura del nepotismo così radicata produce un effetto corrosivo sulla crescita economica, tanto più cruciale tenuto conto che la Spagna vacilla sotto il peso di un elevato tasso di disoccupazione giovanile che si aggira intorno al 53%. Un fatto è certo, la Spagna “non è una meritocrazia,” aggiunge Allard. “Il candidato che scegli molto probabilmente non è quello più qualificato. Il candidato che scegli è quello con la rete di conoscenze migliore.”

Moira Koffi, membro di “Class of 2012”, recentemente laureata alla prestigiosa Università Sorbonne di Parigi, dice la sua sull’importanza delle conoscenze in Francia. “Se sei raccomandato, lo dici subito: è così che si ottiene un lavoro.”

Anche se Moira Koffi, vendiduenne laureata in comunicazioni, ha tratto vantaggio da questo sistema, ma vorrebbe che la rete di conoscenze non fosse così decisiva per trovare un impiego. “Negli Stati Uniti”, sostiene, “ti viene data un’opportunità per quello che sei.”

Secondo Jean-Francois Amadieu, professore di sociologia alla Sorbonne, il 70% della popolazione francese trova un impiego grazie alle reti di conoscenze personali o a uno stage, a cui comunque si accede solo se si conosce la persona giusta. “I giovani di famiglia modesta hanno grandi difficoltà ad accedere a uno stage rispetto ai giovani di famiglie agiate o di classe media proprio a causa delle reti familiari più ristrette”, aggiunge.

In Italia, la cultura delle conoscenze “si è imposta ancora di più a causa dell’acuirsi della crisi economica,” sostiene l’economista Emiliano Mandrone. E chi parla è un esperto: ogni anno, Mandrone collabora alla preparazione di un’indagine telefonica sovvenzionata dallo Stato e rivolta a circa 40 mila cittadini per capire il modo in cui gli italiani trovano un impiego.

“Il problema delle raccomandazioni non si riduce solo all’opportunità di trovare o meno un impiego,” sostiene Mandrone. “Piuttosto, il problema risiede nel fatto che in questo modo si sottrae lavoro a una persona più preparata.” Secondo Mandrone, il prezzo del sistema raccomandazione nella società e nell’economia italiane non è stato quantificato in termini finanziari, ma è chiaramente “enorme”.

In Italia, la cultura delle conoscenze è stata additata da tempo come principale responsabile della fuga di cervelli dei cittadini più preparati e più brillanti. L’Istituto per la Competitività, un comitato di esperti italiano no profit, recentemente ha stimato che la fuga di cervelli costa annualmente all’Italia qualcosa come 1,2 miliardi di euro (oltre $1,5 miliardi) se si tiene conto dei brevetti perduti e di altre royalty frutto di invenzioni che emigranti italiani altamente qualificati hanno sviluppato durante la loro permanenza lavorativa all’estero.

 In Grecia, punto di partenza della crisi finanziaria in Europa, la macchina politica, basata sulla fitta rete di conoscenze, è ritenuta uno dei fattori principali dell’implosione economica. In cambio di voti, i partiti della maggioranza hanno piazzato nelle mani di persone inesperte e con poche qualifiche, ma con conoscenze politiche influenti, lavori nell’apparato aministrativo facili facili. Risultato: quando, verso la fine del 2009, è scoppiata la crisi finanziaria, il governo non aveva la più pallida idea di quante persone impiegasse, né quanto sborsasse per i loro stipendi.

La Germania potrebbe rappresentare un’eccezione al trend dei talenti europei che prendono il volo o che vengono ostacolati nella realizzazione dei loro sogni professionali. Nella ex Germania dell’Est, conoscere la persona giusta nell’apparato del partito era una carta vincente per poter progredire economicamente. Ma nella Germania unita, la rete di conoscenze non viene vista come un elemento cruciale della cultura aziendale.

Il ventisettenne Lutz Hentschel, membro di “Class of 2012”, completato un Master in ingegneria elettronica all’inizio dell’anno, ha dovuto inviare circa 40 domande prima di aggiudicarsi un impiego a Berlino, dove oggi sviluppa circuiti elettrici per ascensori. Durante la ricerca del lavoro, ricorda di aver sostenuto un colloquio per un impiego che alla fine è andato a un candidato meno preparato, ma che conosceva la persona con cui ha sostenuto il colloquio.

Tutto sommato in Germania, sostiene Hentschel, “se hai le qualifiche giuste, un lavoro alla fine lo trovi.”

Da tempo la Gran Bretagna è alle prese con un altro sistema di clientelismo che si fonda sulla rete di quel salotto bene della società che ha ricevuto un’istruzione elitaria e che evoca immagini di uomini vestiti di tutto punto con divise scolastiche, o che si intrattengono amichevolmente in esclusivi club per gentiluomini. Benché la Gran Bretagna abbia fatto passi da gigante per diventare più meritocratica, c’è chi lamenta che l’accesso a impieghi prestigiosi spesso rimane una prerogativa del fior fiore di quella parte della società che ha goduto di un’istruzione privilegiata.

Nell’Europa meridionale, tuttavia, la cultura delle raccomandazioni permea tutte le classi e i settori, da un impiego in banca alla vincita di appalti di costruzione.

Carrai, la linguista e aspirante esperta in diritto internazionale, ha imparato a sue spese quanto contino le conoscenze giuste anche nell’esclusivo mondo accademico. Ad Hong Kong si è trasferita per sottrarsi alla soffocante atmosfera del nepotismo universitario: “Ho visto come funziona. Non volevo rimanere in Italia e assecondare questo sistema.”

“Il sistema delle raccomandazioni può essere una pratica normale, umana, ma fino a un certo punto”, sostiene, superato il quale,  “diventa corruzione”.

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