Cara Nina, non ho ben capito se la tua rubrica sul Fatto è ancora attiva o se è stata solo una parentesi estiva, ma io ci provo. Sono Roberto e sono il padre, orgoglioso, di Francesco, 12 anni, paraplegico. Non ti racconterò lo shock, il dolore, i tanti perché ai quali non abbiamo trovato risposta: ti dirò che Francesco è un atleta, come quelli che abbiamo visto alle Paralimpiadi (non proprio a quei livelli ma ci alleniamo sul campo da tennis sperando un giorno di arrivare anche lì!). Sono tanti no? E’ stato emozionante vedere questo esercito “diversamente abile” lottare, soffrire, vincere e anche perdere. Ho visto negli occhi di Francesco una sana invidia (non è la stessa che provavo io nei confronti di Gigi Riva o che provo ancora per Bolt, Phelps e altri mostri dello sport?) che mi ha riempito di gioia.

Difficilmente dimenticherò queste giornate di tifo davanti alla tv accanto a Francesco ma mi domando perché, in generale, la televisione dia così poco spazio a questi ragazzi se non per parlarne con quel triste pietismo che spesso leggo negli occhi di chi incontra Francesco e la sua “seggetta”, come ironicamente chiamiamo la sua sedia a rotelle. Tu hai fatto un programma di educazione sessuale giusto? Hai affrontato il tema della sessualità di chi è paraplegico come Francesco e, per citare solo uno degli atleti, Podestà? Francesco è ancora piccolo, ha 11 anni, ma tra non molto mi troverò a dover affrontare la questione sesso. Questione faticosa mi rendo conto per ogni genitore che però almeno può dare consigli in base alle proprie esperienze dirette, magari disastrose nella loro “normalità”. Non voglio e non posso essere impreparato di fronte alle domande di mio figlio adolescente e voglio che sappia che molta gente potrebbe guardare a lui e al suo normalissimo desiderio sessuale quasi(quasi?) con raccapriccio. Magari cominciandone a parlare si eviterebbero tanti imbarazzi e dispiaceri. (R.)

Caro Roberto, eccomi qui. Sono felice di far ripartire la rubrica con questa tua bella lettera.
Hai totalmente ragione: non siamo per niente abituati alla disabilità, tutto quello che è disabilità è indietro nel dibattito culturale e civile del nostro paese. I media, quando trattano questo argomento, lo fanno sì con garbo, ma anche con quella fastidiosa e ipocrita commiserazione da cui fuggono, battendo anche dei record, la maggior parte dei disabili. Sebbene non sia facile raccontare quello che non conosci e che pensi, per ignoranza e pregiudizio, essere una “condizione di tristezza ed estrema difficoltà” (per risponderti: non l’ho fatto neanche io), la verità è che l’argomento è tabù e come tale crea imbarazzo. Vedi una persona sulla sedia a rotelle e pensi automaticamente che quella persona abbia una vita triste, che sia malata e impossibilitata a fare ciò che tu, che sei “sano”, normalmente fai. Nessuno osa fare domande esplicite e oneste su questo perché l’immagine di un disabile che fa sesso (con un altro disabile o con un cosiddetto “abile”) o che eccelle in un’attivita’sportiva non è contemplata nella carrellata di stereotipi di bellezza, salute, sensualità e perfezione a cui siamo abituati.

E in questo le Paralimpiadi hanno compiuto un miracolo umano e mediatico. I trionfi di quei ragazzi ci hanno commosso in quanto trionfi sportivi da atleti veri, non a metà. Non c’era niente di patetico in Martina Caironi che piangeva di felicità dopo aver vinto l’oro nei 100 metri e in tutte quelle e quelli che come lei hanno imparato a vivere con un corpo diverso ma che in quel corpo nascondono le passioni e le pulsioni, sentimentali e sessuali, che appartengono a tutti gli esseri umani. Tutti. Eppure, a parte questa felice parentesi sportiva, in Italia non siamo pronti a porci le domande e a dare le risposte che chi conosce da vicino la disabilità, come te, meriterebbe. Non siamo in regola con le barriere architettoniche, figurati come siam messi con il sesso dei disabili! Io non ho la cultura specifica per addentrarmi in questo discorso però so – e immagino che tu ti sia già documentato – che il sesso è correlato al tipo di disabilità esattamente come le gare sportive: per dire, nell’atletica, non c’è un solo tipo di corsa dei 100 metri. Gli atleti sono divisi per “categorie”, redatte in base alla tipologia e al tipo di handicap che riportano. E via con la corsa per gli atleti T 11(non vedenti con guida), T 53 (paraplegici) o T51 (tetraplegici). Nel sesso funziona un po’ alla stessa maniera: ogni disabilità, fisica o mentale, ha il “suo sesso”, il suo modo di fare l’amore e va trattata singolarmente, caso per caso. So che ad esempio in Inghilterra questo dibattito è molto più vivo e attento e, in altri paesi, c’è chi ha trovato delle risposte a questa necessità (assistenza sessuale ai disabili, per citarne una). A questo proposito ti invito a leggere il blog di Max Ulivieri, web designer “affetto da distrofia muscolare, ma questo è solo un particolare”, come scrive lui, che proprio ieri qui sul Fatto ha aperto una discussione su questo tema. Max ha anche creato un sito che sono certa potrà esserti molto utile nella gestione del prossimo futuro di Francesco.

Ti lascio con la storia di una persona che ho conosciuto personalmente, un signore tetraplegico – trauma alla colonna vertebrale a livello cervicale, totale immobilità – al quale, in Svizzera, hanno insegnato ad avere degli orgasmi cerebrali, coltivando aspetti della sessualità legati alla parola e soprattutto alla vista. Questi orgasmi, a suo dire, sono diversi da quelli che aveva prima del suo incidente, ma sicuramente appaganti quanto quelli. E, particolare non da niente, questo signore ha incontrato l’amore della sua vita da tetraplegico: una donna “normodotata” che è diventata sua moglie e ha imparato a fare l’amore…con gli occhi di suo marito. Alla faccia di chi pensa “poverino, non può fare nulla” mi ha detto: “L’unica cosa che non posso fare è fare l’amore con la luce spenta“.

In bocca al lupo Roberto, spero di poter tifare per il tuo piccolo atleta fra qualche anno e qualche Olimpiade. 

Per scrivere a Nina: NINARISPONDE@GMAIL.COM

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