Mentre si attende l’esito dell’incontro a Mosca tra il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, e Kofi Annan, che domani sarà ricevuto dal presidente Vladimir Putin, in Siria la situazione precipita sempre di più nel caos, come ha avvertito la stessa Croce Rossa Internazionale, secondo cui si è ormai alla guerra civile totale. Non soltanto dall’alba di oggi su Damasco sono ripresi i bombardamenti lealisti, iniziati giovedì scorso e definitivamente dilagati ieri, ma il cuore stesso della capitale è diventato teatro della battaglia tra governativi e ribelli: stando all’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, organizzazione dell’opposizione in esilio con sede nel Regno Unito, il regime ha schierato per la prima volta i blindati in pieno centro, nel quartiere di al-Midan che si estende a ridosso della Città Vecchia.

Una colonna di mezzi corazzati è stata inoltre vista dirigersi verso il quartiere sud-orientale di al-Tadamon, il più preso di mira dalle artiglierie pesanti. Tra forze di sicurezza e disertori del Libero Esercito Siriano infuriano inoltre scontri in diverse altre zone: da Kfar Souseh e Zahera ai sobborghi di Nahr Aisha, Sidi Qadad, Jober e Hameh. Sul piano diplomatico, mentre il Marocco ha dichiarato “persona non grata”  l’ambasciatore della Siria, che è stato sollecitato a lasciare subito il Paese nord-africano, Damasco ha reagito a stretto giro espellendo a sua volta il rappresentante marocchino: un segno del crescente isolamento di Bashar al-Assad all’interno dello stesso mondo arabo. Chi invece non sembra intenzionato ad abbandonare il tradizionale alleato mediorientale è la Russia: giocando d’anticipo rispetto al previsto colloquio con Annan, Lavrov ha pubblicamente accusato l’Occidente di voler “ricattare” Mosca, per costringerla ad aderire a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che preveda passi concreti per fermare la repressione in atto contro gli oppositori siriani. Il capo della diplomazia russa ha tenuto a precisare che il Cremlino non si schiera con nessuno dei contendenti, come denunciato invece dai governi occidentali, e ha liquidato quale “irealistica” l’ipotesi di una rinuncia di Assad al potere, sottolineando che ha ancora dalla sua una “parte consistente” del suo stesso popolo. Solo una settimana fa un altro tentativo di missione diplomatica in Russia era fallito. 

Intanto c’è la prima cittadina dove sventola la bandiera dei rivoluzionari siriani. Un’oasi dove il conflitto appare lontano, se non fosse per l’eco dei cannoni dell’esercito puntati contro le città martirì di Douma e Homs, distanti solo poche decine di chilometri. A Yabrud il clima in questi giorni è surreale. Della guerra non c’è traccia e la vita scorre senza scossoni, come raccontano gli attivisti e gli abitanti del luogo, sorpresi dal fatto che il regime qui non abbia scatenato la repressione contro i ribelli. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: migliaia di persone ogni venerdì manifestano pacificamente a Yabrud contro il governo e i miliziani dell’Esercito libero si muovono in città senza armi. In molti si interrogano sui motivi per cui Yabrud sia stata finora risparmiata dall’esercito. Secondo Abu Mohammed, un attivista che per motivi di sicurezza ha voluto farsi identitficare solo con il nome, si deve tutto all’approccio ‘soft’ della popolazione nei confronti dell’esercito che pure a dicembre aveva tentato di sottomettere la città. Quando gli uomini della shabiha, la milizia fedele al regime, sono entrati in città “hanno fatto irruzione in molte case, anche in quella di mio padre, rubando e rompendo ogni cosa. Ma noi non abbiamo reagito”, ha dichiarato Abu Mohammed. Le forze governative, ha aggiunto, hanno stazionato alla periferia della città “per pochi giorni e poi semplicemente se ne sono andate. Non c’è stata battaglia”. Secondo invece un comandante locale dell’Esercito libero, la situazione relativamente tranquilla a Yabrud è dovuta alla debolezza delle forze regolari. “L’esercito sta combattendo a Homs e a Damasco. Non ha la forza per combattere anche a Yabrud”, ha dichiarato il comandante, un ex luogotenente passato nei mesi scorsi con i ribelli. I miliziani dell’Esercito libero, tuttavia, non girano armati per le strade di Yabrud e l’unica loro presenza è un checkpoint all’ingresso della città. La stazione della polizia esiste ancora.

 

 

 

 

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