Gli immigrati alimentano da sempre il motore dell’economia americana, creando quel flusso continuo di talento e idee che ha contribuito a rendere gli Stati Uniti uno dei paesi più innovativi. I cervelli stranieri, però, sono sempre di meno e, se non saranno riformate le leggi sull’immigrazione, tra le cause principali del cambio di tendenza, l’America potrebbe presto rimanere a secco di quel capitale umano che per anni le ha consentito di crescere. I posti di lavoro in ambito scientifico e tecnologico stanno aumentando tre volte più velocemente rispetto ad altri settori e uno studio della Georgetown University ha previsto che nel 2018 i laureati nati in America con le qualifiche necessarie per svolgere tali professioni copriranno meno del 70% dell’offerta. In cifre, questo significa che serviranno circa 250 mila stranieri per riempire il buco ed evitare la stagnazione economica.

Gli immigrati hanno anche un valore aggiunto, perché molti inseguono il sogno americano, con un misto di ambizione e voglia di riscatto che li rende intraprendenti per definizione. Nel 2006 le aziende tecnologiche fondate da immigrati hanno fatturato 52 miliardi di dollari e dato lavoro a 450 mila persone. E anche alcune delle maggiori imprese del settore hitech e web, come Intel, Ebay e Google, sono nate da persone immigrate negli States. Eppure, anche se molti stranieri scelgono ancora gli Usa per diventare imprenditori, grazie alle ottime leggi sulla proprietà intellettuale e alle opportunità di venture capital, il numero di aziende startups è in declino e quest’anno ha raggiunto il minimo storico. Per evitare il peggio, da un lato gli Stati Uniti devono impedire che il flusso in ingresso di studenti e ricercatori stranieri rallenti, dall’altro devono assicurarsi che i più bravi rimangano.

Sul primo fronte, sono fortunati che oggi gli arrivi continuano ad aumentare (ad esempio, gli studenti italiani immatricolati nelle università americane sono cresciuti del 5,8% nel 2011, passando dai 4.072 dell’anno precedente a 4.308), ma domani dovranno vedersela con la concorrenza dei nuovi atenei asiatici, che stanno scalando velocemente le classifiche internazionali. L’altra battaglia si combatte invece su più vasta scala. Infatti, non solo molti figli di immigrati hanno cominciato a tornare nelle nazioni di origine dei propri genitori, soprattutto Cina, India e Brasile, spinti dalle grandi opportunità che offrono, ma anche gli stranieri che arrivano in America a specializzarsi, sempre più spesso scelgono di andare a lavorare altrove, attratti da leggi sull’immigrazione più favorevoli. Ad esempio, dal 2001 la Germania ha semplificato e velocizzato le procedure per rilasciare il permesso di residenza permanente a lavoratori extra-comunitari altamente qualificati, come scienziati e top managers. Nello stesso periodo, dopo l’attacco alle due torri, gli Stati Uniti hanno invece scelto di ridurre il numero di visti lavorativi e introdotto nuove limitazioni.

La Cina, in pieno boom economico, ha sviluppato un piano aggressivo e ambizioso per far tornare innovatori e imprenditori cinesi residenti all’estero, offrendo una serie di incentivi, tra cui bonus fino a un milione di yuan (circa 125 mila Euro) alla firma del contratto, alloggi gratuiti o affitti ridotti, esenzione dalle tasse fino a tre anni per chi trasferisce la propria impresa in appositi distretti, e poi onorificenze di ogni tipo per i più meritevoli. Adesso che anche altre nazioni hanno capito che nel mercato globale a fare la differenza sono le persone, se vogliono competere, gli Stati Uniti saranno costretti a modificare le politiche sull’immigrazione, aumentando l’offerta dei visti e snellendo la burocrazia.

di Riccardo Lattanzi

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