120, è il numero dei morti di ieri in Siria, mentre a Ginevra si sfolgeva il vertice del “Gruppo D’azione” a cui hanno preso parte i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu, Turchia, Kuwait, Qatar, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, l’omologo della Lega Araba, Nabil Elaraby e il capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton.

La riunione si è conclusa con l’annuncio di un accordo: “per un passaggio di poteri gestito dal popolo siriano, creado un governo di unità nazionale, formato anche da esponenti del regime”. Il ministro russo, Serghei Lavrov, ha sottolineato che il testo di intesa non prevede le dimissioni di Assad. Kofi Annan, invece, si è detto “fiducioso di vedere risultati entro un anno”. Nelle stesse ore dell’incontro, a Zamalke, un sobborgo di Damasco, un colpo di mortaio, sparato dall’esercito regolare contro un funerale, ha causato la morte di 30 persone. Il numero delle vittime sta superando, costantemente, le 50 giornaliere.

La diplomazia internazionale pensa realmente che l’opposizione siriana-mai considerata tale dal regime, ma sempre etichettata come banda di terroristi- possa scendere a compromessi con il regime? Possiamo continuare a ragionare i astrattamente leggendo, freddamente, i numeri di una strage che non ha mai fine o agire ascoltando l’anelito di un popolo che continua, con determinazione, a manifestare, consapevole di essere stato lasciato solo. Solo come: Dr Mohamad Nour Audi, volontario della croce rossa arrestato il 24 marzo 2012, da allora non si hanno più notizie di lui. Souad Al Tayeb, giovane ragazza, detenuta dal 10 giugno 2012. Mazen Darwish, direttore del Centro siriano per la libertà dei media. Da mesi non si hanno più notizie di lui e di tanti altri….

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