Cinquecentoventinove miliardi e mezzo di euro. E’ questa la cifra complessiva della seconda (e forse ultima) maxi iniezione di liquidità targata Bce. Un ammontare impressionante, addirittura superiore alle attese (alla vigilia Bloomberg aveva stimato in 470 miliardi il controvalore dell’intervento) distribuito nelle casse di circa 800 istituti di credito del Continente. Un’erogazione lungamente attesa che dovrebbe alimentare la ripresa dei mercati finanziari europei consentendo alle banche di ripianare le perdite nel breve periodo ripristinando in seguito i propri bilanci sfruttando i rendimenti di medio termine sul mercato. Insomma, nella pratica e nelle intenzioni, una replica di quanto già avvenuto a dicembre quando l’istituto centrale aveva sbloccato 489 miliardi.

Ricapitolando: in meno di tre mesi Eurotower ha immesso nel sistema circa un trilione di euro di liquidità (a voler essere più precisi 1.018 miliardi e spiccioli) sotto forma di prestiti a basso costo. Le banche dovranno restituire l’ammontare tra tre anni a un tasso di interesse dell’1%. Nel frattempo, almeno questo è il programma, dovrebbero però essere in grado di far fruttare il capitale. Come? Semplicemente acquistando titoli in un mercato particolarmente ribassato. In prima fila, ovviamente, ci sono i bond sovrani, specialmente quelli di Italia e Spagna, vero e proprio “epicentro” della crisi debitoria.

E sì, perché archiviata, o per meglio dire “isolata” la Grecia, e in attesa di completare il programma di recupero di Portogallo e Irlanda, il vero problema della Bce è la gestione dei conti di Madrid e Roma, ovvero delle due economie periferiche “troppo grandi per essere salvate”. Mentre i programmi di austerity proseguono, è insomma necessario che il peso del deficit si abbassi, ovvero che i costi di rifinanziamento di Italia e Spagna si riducano. Un traguardo che può essere raggiunto solo attraverso una crescita della domanda dei titoli dei due Paesi. E non ci vuole molto a capire che per chi prende in prestito denaro all’1%, acquistare bond che rendono dal 5 al 5,5% costituisce un affare irrinunciabile. Lo spread Btp-Bund scende sotto i 340 punti base e arriva a 335, rivedendo i minimi da settembre. Il rendimento del Btp a 10 anni è al 5,21%.

In termini reali, la banca centrale europea ha già perso in partenza. Perché il tasso caricato sui prestiti è inferiore a quello dell’inflazione programmata. Ma si tratta di un costo calcolato e decisamente conveniente, almeno nella prospettiva della fiducia dei mercati. Il deciso calo dello spread Italia/Germania sul decennale, e gli ottimi risultati delle aste di breve e medio termine condotte in Italia negli ultimi due mesi dimostrano che il sistema funziona. E la fiducia si fa sentire anche in Borsa. Dall’inizio dell’anno, in pratica, l’indice Ftse Mib è in costante ascesa. Dal 9 gennaio a oggi, Piazza Affari ha recuperato circa duemila punti viaggiando ora attorno a quota 16.400. Siamo ancora lontani dai livelli di maggio, quando l’indice si attestava attorno ai 22.000 punti e la pressione sul Btp era decisamente più contenuta. Ma il trend positivo è comunque evidente. E anche oggi, dopo la notizia dei 530 miliardi, allargano i guadagni le principali Borse europee, guidate da piazza Affari. A Milano Ftse Mib +1,42%. A Bruxelles Bel 20 +0,93%, Parigi +0,88%, Francoforte +0,81%, Madrid +0,40%, Amsterdam +0,42%, Zurigo +0,26%. Lo spread Btp-Bund scende sotto i 340 punti base e arriva a 335, rivedendo i minimi da settembre. Il rendimento del Btp a 10 anni è al 5,21%.

Lo schema, insomma, funziona. Ma agli aspetti positivi del mercati finanziari, fanno da contraltare le ricadute sull’economia reale. Il prestito della Bce, come detto, costituisce un assist implicito agli acquisti dei titoli di Stato, un’attività che ora diventa prevalente. In sintesi, le banche private si mettono a fare ciò che la Bce non fa più (nelle ultime due settimane gli acquisti di titoli da parte di Francoforte si sono azzerati) ma così facendo finiscono per concentrare tutte le loro risorse sulle obbligazioni statali e, al limite, sul comparto azionario. Ovvero, scelgono di tagliare ulteriormente il credito a cittadini e imprese. L’effetto immediato, ovviamente, è lo sviluppo della spirale recessiva, già alimentata dall’austerity che caratterizza oggi gran parte del Continente. Insomma, il risanamento dei conti realizzato dagli Stati e favorito dagli investimento bancari finisce per deprimere l’economia reale. Un paradosso irrisolto ben rappresentato dalle prospettive di crescita pressoché nulle che accompagneranno l’Ue per tutto il 2012.

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