“Il governo si è dimenticato di noi, così rischiamo di chiudere”. È il grido di dolore dei sindaci dei comuni di confine che si affacciano sulla Svizzera, che da qualche tempo a questa parte stanno vivendo sulla propria pelle l’incubo del taglio dei ristorni imposto dal Canton Ticino. Un’ arma di ritorsione usata dagli elvetici contro alcune misure adottate dall’ex ministro Giulio Tremonti con l’intento di fermare l’esodo dei capitali italiani verso le banche della Confederazione, ritenute più sicure e discrete. Insomma: taglio dei ristorni contro black list, scudo fiscale e fiscovelox.

Il meccanismo del ristorno prevede che una percentuale delle tasse pagate dai lavoratori frontalieri in Svizzera (sono 50mila gli italiani che lavorano oltreconfine) venga restituita dal governo elvetico all’Italia, per finire un anno e mezzo dopo nelle casse dei comuni di provenienza dei lavoratori stessi. In buona sostanza un degno sostituto dell’Irpef, da cui dipende una buona quota dei bilanci dei comuni interessati. Non si tratta di cifre spropositate, il gettito totale dei ristorni ammonta a 54 milioni di euro l’anno, ridistribuiti tra 400 comuni di confine da cui provengono i lavoratori frontalieri. Per 90 di questi comuni i ristorni rappresentano una quota superiore al 20% del bilancio comunale, spesso anche molto di più. Una cifra irrinunciabile, senza la quale i sindaci hanno già annunciato di rischiare di dover chiudere i battenti, non potendo più pagare i servizi.

Della questione si è iniziato a parlare con insistenza l’indomani dell’elezione cantonale ticinese dello scorso anno, quando la Lega dei ticinesi, il partito di Giuliano Bignasca, ha sbancato le urne spinto proprio dalla forza degli slogan anti-frontalieri. Infatti è stato il Bossi del Canton Ticino ad aver fatto passare la linea del ricatto. Così, già lo scorso anno, i ticinesi hanno trattenuto il 50% delle somme dovute all’Italia. I primi effetti di quel taglio si vedranno nel 2012, quando le casse dei comuni potranno contare solo su metà dei trasferimenti. Ma la faccenda potrebbe aggravarsi nel 2013: di fronte al silenzio italiano il cantone svizzero sta minacciando infatti di trattenere l’intera quota.

Lo scorso anno sulla spinta delle proteste intavolate dai sindaci erano stati promosse mozioni parlamentari bipartisan, tese a distendere il clima e ad impegnare il Governo ad avviare un confronto con la Svizzera. Il governo Berlusconi si era impegnato a rivedere la black list dei paesi a fiscalità privilegiata, gettando le basi per un nuovo trattato internazionale tra Roma e Berna in materia di fiscalità e lavoro. Quando per i comuni di confine le cose sembravano avviate ad una lenta soluzione è caduto il governo Berlusconi e nessuno si è più interessato alla faccenda.

“54 milioni di euro non sono senz’altro una cifra fondamentale per il bilancio di uno Stato – hanno detto Sandra Cane e Pietro Roncoroni, sindaci di Viggiù e Lavena Ponte Tresa –, ma da questa cifra dipende la sopravvivenza dei nostri comuni. Siamo stanchi di sentire belle parole da tutti i nostri politici, ora è il momento di passare all’azione. Qualcuno deve ricordare al Governo che esistiamo anche noi e che se andiamo avanti così nel 2013 rischiamo di non vedere più un solo centesimo”.

Insomma, nella fitta agenda governativa bisognerebbe trovare uno spazio per risolvere il problema dei ristorni e dare fiato a quei comuni che dipendono in larga misura da questa forma di trasferimenti. Al grido di dolore dei sindaci si è aggiunta nelle scorse ore anche l’europarlamentare Lara Comi (Pdl), che ha parlato del problema a Mario Monti in occasione della sua visita a Strasburgo: “Con la confederazione elvetica serve mettere in chiaro una serie di questioni irrisolte, dal rientro dei 100-150 miliardi di capitali italiani che si trovano nelle banche di quel Paese fino allo sblocco dei 23 milioni di ristorni dei 51 mila frontalieri d’oltreconfine, di Varese, Como, Sondrio, Lecco. Risorse attese dagli enti locali lombardi e ferme dal giugno scorso per decisione del governo ticinese. Con il Canton Ticino i rapporti sono sempre stati buoni. E vogliamo che siano tali. E non devono essere incrinati da prove di forza o assurde ritorsioni. Al premier Monti ho chiesto pertanto una tempistica del tavolo con la Svizzera in modo da risolvere i nodi non ancora sciolti. Onde evitare che la questione degeneri”.

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