Quando emergono nuove prove in grado di ribaltare sentenze anche definitive, è prevista la revisione del processo (vedi strage di via d’Amelio). Purtroppo nulla di simile avviene per le sentenze del Csm, che in questi anni si è distinto nel colpire i magistrati perbene che tentavano di fare pulizia nella cloaca che collega Puglia, Basilicata, Calabria e Campania.

Un pozzo nero fatto di ruberie di fondi pubblici (soprattutto europei), assunzioni clientelari, lobby cricche e logge spurie, servizi deviati, poliziotti infedeli, scambi di favori fra malapolitica, malagiustizia e malaimpresa. Un sistema trasversale di finanziamento occulto dei partiti cresciuto e ingrassato al riparo dai riflettori, visto che l’informazione è molto distratta sugli scandali del profondo Sud.

In questo sistema si erano imbattuti alcuni magistrati coraggiosi a Potenza, Catanzaro, Salerno, perlopiù giovani, magari un po’ ingenui, non ancora formattati alla ragion di Stato e a quelle astuzie che garantiscono carriere ed encomi solenni. E avevano provato ad applicare la Costituzione e il codice penale in quelle terre che da decenni càmpano su un’altra Costituzione e un altro codice penale, quelli del Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi nun siete un cazzo”. Peggio per loro. Stoppati e infangati dai loro superiori, ispezionati da governi di destra e di sinistra (il capo degli ispettori sotto Mastella, Alfano e Palma è sempre lo stesso, il solito Miller, e al ministero ci sono sempre gli stessi magistrati in aspettativa, dalla signora Iannini in Vespa al povero Papa, attualmente impedito da un paio di manette ai polsi), sputtanati da interrogazioni parlamentari, dossier anonimi, campagne di stampa e di tv, infine puniti, trasferiti, degradati dal Csm fra gli applausi dei partiti e del Quirinale.

Ora si scopre che quelle campagne erano orchestrate da altri magistrati, anziani e potenti, in cambio di raccomandazioni politiche per far carriera. Gli stessi che insabbiavano le loro inchieste, così poi i giornali e i politici potevano dire che erano bolle di sapone e chi le aveva fatte era un incapace, o peggio un persecutore. A Potenza, Woodcock, Iannuzzi, Montemurro, Pavese e Galante furono trascinati dinanzi al Csm e subirono provvedimenti disciplinari, trasferimenti d’ufficio o di funzione, o preferirono andarsene prima. A Catanzaro, De Magistris prese sul serio le loro denunce e incriminò le toghe sporche lucane su cui era competente, mentre denunciò quelle calabresi a Salerno: scippato delle indagini e trasferito anche lui. A Salerno, i pm Apicella, Nuzzi e Verasani raccolsero le sue denunce: puniti e trasferiti pure loro da un Csm che, tra toghe marce e toghe pulite, sembra specializzato nel proteggere le prime e nell’eliminare le seconde. E poi botte da orbi a chiunque abbia osato occuparsi di loro senza fucilarli (il giornalista Vulpio, incriminato per associazione a delinquere), o difenderli (la gip Forleo, espulsa da Milano), o lavorare con loro (il capitano Zacheo, trasferito nelle Marche).

Così, nel generale disinteresse interessato, han preso piede tante piccole P4, incistate ai piani alti degli uffici giudiziari, della politica e delle istituzioni e protette dal conflitto d’interessi di una politica che controlla ministeri, ispettori, stampa e tv. Gente che lavora con la sabbia e ora anche col fango. Dall’inchiesta “Toghe lucane-2” del pm Borrelli (nomina sunt consequentia rerum), che riprende quella aperta da De Magistris e archiviata frettolosamente dai soliti noti, emergono dossier calunniosi contro Woodcock, Iannuzzi e altri galantuomini, spionaggi illeciti ma istituzionali a base di tabulati telefonici e complicità politiche, giudiziarie, istituzionali.

Ora, delle due l’una: o il Csm chiede scusa per aver giustiziato i magistrati perbene e li reintegra nei loro uffici, punendo finalmente quelli permale; oppure dovremo pensare che, come i servizi deviati, i magistrati deviati sono quelli onesti. Forse un monito del Quirinale non ci starebbe male.

Il Fatto Quotidiano, 30 ottobre 2011

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