Macola è il soprannome che gli hanno affibbiato all’età di 13 anni a scuola, come storpiamento del suo vero cognome, Mazzola. Non che ne fosse entusiasta: dopo un po’ di tempo però, incuriosito va alla ricerca del significato e scopre che macola è una “macchia di colore diverso dalla zona circostante”. L’immagine che ne ricava gli piace e da quel momento diventa il suo marchio di fabbrica.
Vibronda è il nome che Marcello Mazzola dà alla sua prima band. Col tempo i componenti della band sono cambiati. Attualmente i Vibronda sono quattro romagnoli scalmanati che resistono da tre anni, sono tutti professionisti e si divertono parecchio a suonare insieme, specie nei momenti di preparazione e arrangiamento dei nuovi brani.

L’idea di Vibronda – racconta Macola – nasce dalla mia convinzione  del fatto che la musica è una cosa che fa provare emozioni con delle onde vibrazionali di varie frequenze. Non ci sono generi, non ci sono strumenti particolari, ma solo la volontà di usare la musica per produrre – in chi la ascolta – sensazioni positive. Ci piace il fatto di non essere legati a un genere particolare, anche se il reggae è spruzzato un po’ dappertutto”.

Macola & Vibronda sono attivi principalmente in territorio romagnolo, con i loro spettacoli  in cui eseguono quasi esclusivamente brani composti da loro. Calcando palchi di qualsiasi entità, dai pub alle varie feste dell’unità, sono considerati “i Manu Chao dell’Emilia Romagna”.  Nel 2006 è uscito il loro primo album intitolato  “Calma” (One StepRecords) mentre nel 2009 arriva il secondo disco registrato in studio “Rovente” (One StepRecords/Venus) che delinea più marcatamente la connotazione concettuale della band, pur mantenendo uno stile unico nel mescolare i vari generi musicali folk, reggae, ska, world music, cantando l’amore, l’attualità con le conseguenti critiche al sistema, pena di morte e temi psico-introspettivi.

Come nasce la vostra formazione, come è avvenuto il vostro incontro? Avete avuto sin da subito una “complicità” a livello musicale?
Io (Macola) e Tommaso (percussionista) ormai suoniamo insieme da 8 anni, abbiamo un’ottima intesa e identici stili di vita. Gli altri sono arrivati un po’ per volta, trovati per strada, raccolti e accolti nel gruppo come esuli viandanti senza fissa dimora. Abbiamo avuto tra di noi una complicità quasi simultanea.

Quanto è duro (se lo è) per voi essere artisti (musicisti) oggi e quali sono le vostre ambizioni?
Essere musicista per noi significa cercare di sopravvivere con ogni mezzo (per lo più legale). Facciamo di tutto, in genere lavori saltuari tipo il giardiniere, l’imbianchino, il taglialegna, cameriere oppure diamo lezioni di musica, ma è dura comunque. Prima si lavorava di più coi comuni e le Proloco, ma adesso non hanno più risorse. Ci si arrangia e si spera che, se ci uscisse qualcosa di buono, il pubblico lo riconosca. Le ambizioni… be’… se già si riuscisse a tirar fuori una paga da operaio con la musica ci sentiremmo dei  pascià. A parte gli scherzi, il sogno è riuscire a cambiare qualcosa nel mondo in meglio grazie alle nostre canzoni.

Parliamo dei vostri dischi: come sono stati concepiti, cos’è che vi ha ispirato nel comporli? Cos’è che vorreste venisse recepito da chi vi ascolta?
Nelle canzoni raccontiamo esperienze personali, esperienze inventate, esperienze che vorremmo vivere ed esperienze psicointrospettive che finiscono per sembrare quasi Poesia. Il primo disco Calma è stato generato come una raccolta di brani che ci venivano meglio in quel periodo, ma che però (a causa dell’inesperienza  di allora) risulta acerbo pur non essendo malvagio. Insomma, è stato ‘un parto doloroso’. La fase Rovente (il secondo album, ndr) invece è stata davvero divertente e intrigante, ne è nato un disco veloce e deciso; sapevamo cosa volessimo e ci sentivamo energeticamente  forti. Alla fine della lavorazione eravamo talmente soddisfatti che ci siam detti ‘che ce ne frega se non avrà successo, l’importante è che lo si possa ascoltare per sempre’. Lo ascoltiamo sempre volentieri, e ci dà ancora i brividi. Speriamo che anche a chi lo ascolta dia la stessa sensazione positiva d’amore per la vita, per la curiosità del tutto.

Voi componete anche pezzi in dialetto. Da cosa è dettata questa scelta? In più avete partecipato ad AreaSanremo nella sezione dialettale arrivando in finale: cos’è che vi ha lasciato quell’esperienza?
Il dialetto è per noi un gioco che troviamo simpatico  e musicale: abbiamo partecipato a Area SanremoDoc nella sezione dialettale per l’appunto, perché abbiamo pensato  d’avere più possibilità. È stata un’esperienza davvero indimenticabile. Prima eravamo diffidenti, ora invece siamo più coscienti dei nostri mezzi e delle nostre potenzialità. È stata un’esperienza che ci ha infuso maggior sicurezza.

Macola&Vibronda attualmente stanno lavorando al nuovo disco con tante idee e voglia di fare. Il  26 novembre si esibiranno all’Ex Macello di Gambettola (FC) e hanno in programma alcune uscite in trio sempre in zona. Per essere sempre informati c’è il sito ufficiale da cui potete avere tutte le news.

Articolo Precedente

Tornano i Negrita: il loro è un “Dannato vivere”

next
Articolo Successivo

Cantautori, le belle parole oggi non suonano più

next