La domanda implicita in queste elezioni  tunisine – in qualche modo salta sempre fuori – è  se sulla sponda sud del Mediterraneo stanno sorgendo delle democrazie, e innanzitutto delle stabilità relative non più fondate sulla repressione.

Ma non siamo solo noi a porre degli interrogativi a loro, dall’alto della nostra splendida democrazia. Certo, abbiamo avuto l’Illuminismo e il ’68, e loro no… Però  poi capita che le domande vengano poste a noi.  Giusto mentre stavo pensando che le mie preoccupazioni sull’avanzata dell’integralismo erano state forse eccessive, perché mi stavo godendo la cordialità democratica delle donne di non so quale presidio sindacale, proprio mentre ci raccontavano che lo scandalo per la proiezione di Persepolis non era stato così diffuso, anzi, e giusto mentre il bianco e l’azzurro dei palazzi del centro storico si rispecchiava in un limpido sole di ottobre… una delle donne che stavamo intervistando realizza che siamo italiani. Si arrabbia, o meglio si scalda e si commuove chiedendoci se è giusto che trattiamo così suo fratello, arrestato all’alba in casa vicino a Perugia solo perché clandestino, trascinato al Cie di Torino senza i suoi effetti personali, destinato all’espulsione: ma perché?

Tento di spiegare, pur dissociandomi, le ragioni e i meccanismi della legge Bossi-Fini provocando l’indignazione ad alta voce di tutto il gruppo. Arrivano curiosi da tutta la piazza per capire se c’è un alterco. Alla fine la donna – che ha già raccolto come  un informale comitato i nomi e i telefoni di mamme, mogli o sorelle di trattenuti nel Cie – mi capisce solo quando le dico che se vanno a protestare sotto l’ambasciata d’Italia sarò con loro.

Che sensazione quando ti rovesciano semplicemente e spontaneamente il loro punto di vista. ”Voi per venire qui mica dovete prendere il visto, anni fa neanche noi dovevamo.” E un ragazzo che parla troppo male il francese per proseguire una improvvisata conversazione in un caffè – e al quale raccomando di imparararlo –  mi chiede del tutto ingenuo e sincero: “Ma in Italia a scuola non si insegna l’arabo? Da noi in varie scuole si insegna italiano…” Ho risposto di no cercando di evitare che mi chiedesse: perché?

La puntate precedente del Dario dalla Tunisia:
Si va al voto dopo Ben Alì

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