Università del nord più care, aumento dell’evasione fiscale e meno fondi per le borse di studio da destinare agli studenti di fascia di reddito più bassa. Questi i dati emersi dal rapporto annuale presentato dall’Osservatorio di Federconsumatori, che anche quest’anno ha condotto uno studio su un campione di 18 università, scelte in tutta Italia tra quelle con il più alto numero di studenti.

L’ateneo più costoso della penisola è, anche per il 2011, quello di Parma, con una retta che parte da 890 euro per le facoltà umanistiche e da 1005,87 euro per quelle scientifiche.

Tasse che pesano soprattutto sulle spalle degli studenti meno abbienti che, rispetto a coloro che provengono da famiglie benestanti, spendono annualmente solo pochi euro di meno. Nell’ordine dei 300 euro. Inoltre, mentre i ragazzi entro i 6000 euro di reddito Isee saranno aiutati dall’Ente regionale per il diritto allo studio, tutti coloro che supereranno anche di poco quella soglia si troveranno soli a dover fronteggiare le spese universitarie.

Al secondo posto è tornata Verona, che annualmente ha un costo che va dai 642 euro, fino ad arrivare, per i più ricchi, a circa 1800 euro. Seguita a ruota dall’Università Statale di Milano.

Bologna invece ha sorprendentemente trionfato, classificandosi al secondo posto tra le università meno care di Italia. L’Alma Mater della Dotta, infatti, nonostante la qualità dei suoi insegnamenti, classificatisi molto meglio delle sorelle italiane nel ranking internazionale, esige dagli studenti tasse accessibili. A fronte di ragazzi appartenenti a una fascia di reddito Isee inferiore a 20.000 euro, ad esempio, ha applicato una tassazione che, rispetto alla media nazionale, è stata inferiore del 35%.

Ma come sempre, gli Atenei più economici sono quelli del sud, con la vistosa eccezione delle università pugliesi che hanno adottato un sistema meritocratico che relaziona il costo della retta al profitto negli studi: quanto più i voti dello studente saranno alti, meno care saranno le tasse da pagare annualmente.

“Complessivamente” ha evidenziato l’analisi dell’Osservatorio di Federconsumatori “rispetto al 2010 si registra una lievissima contrazione dei costi a carico degli studenti appartenenti alle fasce di reddito più basse, e un incremento a carico, invece, delle fasce più alte. Nel dettaglio per gli studenti appartenenti alla 1 ed alla 2 fascia di reddito Isee i costi sono diminuiti, rispettivamente, del -1% e del -4%. I costi relativi alla 3 fascia rimangono pressoché invariati, mentre aumentano rispettivamente del +4% e del +10% le tasse per gli studenti appartenenti alla 4 e la 5 fascia”.

Il divario – tasse sancito così tra Nord e Sud per il 2011 è stato pari a una differenza di spesa del 28,3% per gli studenti più poveri e del 68% per i più ricchi.

Tuttavia il quadro relativo ai costi universitari peggiora sensibilmente per le famiglie italiane se si considerano gli altri due importanti fattori emersi dallo studio.

In primo luogo, infatti, a fronte della riforma Gelmini quest’anno saranno disponibili ben 70.000 borse di studio in meno (su un totale di 184.043), che non verranno concesse nemmeno a chi i requisiti per riceverle li ha tutti, con buona pace del principio secondo cui tutti dovrebbero avere la libertà e la possibilità di farsi un’istruzione.

Il caso è stato sollevato da Antonio Di Pietro, leader di Italia dei Valori, che stamane in Parlamento, durante il Question Time, ha interpellato il ministro della scuola sulla questione degli “idonei non beneficiari”, cioè tutti quei ragazzi che, pur possedendo meriti scolastici riconosciuti ma mezzi economici insufficienti a pagare le tasse universitarie e tutte le spese collegate, come i libri o l’alloggio, non riceveranno alcun sostegno agli studi.

Il calcolo, riporta Idv, è stato tra l’altro effettuato solo sulla base della diminuzione del fondo statale per il diritto allo studio, cioè meno 144.000.000 di euro in due anni, e senza calcolare i tagli che subiranno i fondi regionali a seguito della manovra finanziaria.

In secondo luogo, a dimostrazione di come il sistema scolastico italiano sia una miniatura fedelissima del paese, l’evasione fiscale, o meglio la falsa dichiarazione dei redditi, sta intaccando lentamente ma inesorabilmente le risorse destinate agli studenti più poveri. Federconsumatori ha segnalato, infatti, una situazione di diffusa disonestà che cercherebbe di allineare le disponibilità economiche di professionalità evidentemente diversamente abbienti.

Per comprendere la relazione tra dichiarazione dei redditi e costo dell’università, spiega Federconsumatori, è sufficiente prendere come riferimento una data tipologia di nucleo famigliare, ad esempio quella monoreddito, composta di tre persone. Dai dati elaborati dai Caf, i Centri di Assistenza Fiscale, risulterebbe che circa un terzo di questi particolari contribuenti disporrebbe di un reddito medio inferiore ai 15.000 euro.

Ma tra queste famiglie ‘povere’, stando al Ministero dell’Economia, vi sarebbero molti lavoratori autonomi come ristoratori, gioiellieri, albergatori: tutte categorie che vanno a pagare per i figli una tassa universitaria media annuale di 515,82 euro. Cioè la stessa cifra sborsata da una famiglia ugualmente monoreddito in cui il genitore che lavora è un operaio non specializzato.

Questi dati”, prosegue Federconsumatori, “se affiancati a quelli della crescente evasione fiscale e della diminuzione degli investimenti sulla pubblica istruzione, fanno emergere un quadro drammatico: infatti si andrà sempre più verso un aumento degli studenti che appartengono o dichiarano di appartenere alle prime fasce, e quindi una diminuzione delle risorse da distribuire agli studenti che realmente ne hanno bisogno”.

di Annalisa Dall’Oca

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