Grafico dei tassi d’interesse sul debito irlandese a dieci anni, 2010-11
Tassi d’interesse sul debito irlandese a dieci anni, 2010-11

E’ buona norma, fra economisti, non darsi troppo addosso. Pena: la perdita di credibilità della scienza economica. Ma non si può tacere sul fatto che la crisi in cui versiamo è anche figlia del fallimento di un grande progetto culturale. I suoi epigoni, colleghi di chiara fama, girano in tondo, sperduti in un mondo che non riconoscono e che non credevano possibile: quello della grande depressione in stile anni ’30. E danno pessimi consigli.

Così Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, oggi, sul Corriere della Sera . Due fra i più celebri economisti italiani. Il primo, due anni fa, se ne uscì con grande fanfara con un paper in cui presentava alcuni casi di “austerità espansiva”. Più austerità uguale… più crescita: miracoli della “fiducia”! E’ la tesi cara al neoliberismo, analoga a quella sostenuta da Hoover nel 1929-33. Il paper è stato smontato in quattro e quattr’otto dall’analisi econometrica: nei casi citati, la crescita dipendeva da tutt’altri fattori; l’austerità contribuiva semmai a ridurla. Ma intanto la “ricetta Alesina” è stata tentata in Grecia, Irlanda, Portogallo: con esiti catastrofici.

Ora i due economisti sostengono, giustamente, che la manovra in discussione oggi al Parlamento non è sufficiente a stabilizzare i mercati. E che uno dei motivi è la mancanza di (prospettive di) crescita. (Come, come? L’austerità non doveva essere “espansiva” di per sé?). E allora, come sostenere la crescita? La ricetta è la solita: “Le riforme strutturali… deregolamentazione di certe professioni, miglioramenti nel campo della giustizia civile e nei costi burocratici per le imprese”.

Le riforme strutturali vanno benissimo, per carità: ci ho fatto sopra un’intera campagna elettorale (primarie Pd 2007). Ma (lo dicono i due colleghi) “queste riforme strutturali non daranno risultati sullo sviluppo immediati”. Dunque? Giavazzi e Alesina suggeriscono di riorganizzare i fattori di produzione in maniera più efficiente, per aumentare il potenziale produttivo del paese, quando questo servirà (il che avverrà quando saremo in piena occupazione, cioè fuori dai guai). Ottimo, se saremo ancora vivi. Ma ora, per affrontare i problemi attuali, non serve a niente. Perché l’attuale potenziale produttivo sarà anche modesto, ma è già largamente sottoutilizzato: non ci sono abbastanza clienti nei negozi. A cosa serve aumentare ancora la capacità produttiva? Dicono: “l’effetto annuncio… può molto aiutare”. Sì? Come in Irlanda? Basta guardare il grafico dei tassi d’interesse sul debito irlandese a dieci anni (2010-11), in alto a sinistra.

Emerge qui, in tutta la sua gravità, il fallimento del progetto scientifico neoliberista, che ha largamente dominato le facoltà di economia negli ultimi trent’anni. Non solo la deregulation ha aperto le porte agli abusi finanziari e a un remake del 1929. È anche che, una volta entrati in depressione, non sanno più che pesci prendere. Hanno cancellato le teorie keynesiane, perché prevedevano la possibilità di una caduta non momentanea della domanda (“l’offerta crea sempre la sua domanda!”), e ora non sono attrezzati per suggerire misure di rilancio. Poveretti: vivono proprio… in un mondo sbagliato!

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