Nel suo libro La banalità del male Hannah Arendt ha compiuto, a partire dall’analisi della vicenda dell’aguzzino nazista Eichmann, un’eccellente ricognizione dei meccanismi  psicologici e sociali che portano le persone apparentemente normali a rendersi colpevoli di crimini orribili, in quanto diventano ingranaggi di macchine di sterminio, abdicando a qualsiasi spirito critico, seppellendo la propria umanità e rifugiandosi nel rapporto gerarchico o nell’identificazione con un gruppo di “eletti”.

Molte sono le tragedie di cui l’umanità si è resa protagonista nel corso della sua relativamente lunga e molto tormentata esistenza. Per limitarsi all’età moderna possiamo ricordare la tratta degli schiavi africani, lo sterminio degli indigeni americani, i massacri del colonialismo e i vari genocidi che hanno costellato la storia del ventesimo secolo, da quello armeno, a quello degli ebrei, zingari, omosessuali e dissidenti politici compiuti dall’apparato nazista, a quello più recente del Ruanda, la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki,  la devastazione del Vietnam e, purtroppo, molti altri.

Questi  fenomeni  non nascono mai per caso o per volontà di potenze demoniache, ma sono l’espressione dell’ostinazione delle forze dominanti di conservare la propria posizione di potere e privilegio, a tutti i costi, ovvero di costruire una “nuova” società fondata sull’eliminazione e la segregazione dei “diversi”.

Quante sono oggi le persone che periscono cercando di passare dai luoghi della miseria e della guerra ai “paradisi” dei Paesi industrialmente avanzati? Quante ne sono morte, negli ultimi decenni, tentando di attraversare il Mediterraneo, la frontiera fra Grecia e Turchia o quella fra Messico e Stati Uniti?

Molto probabilmente, la tragedia dell’emigrazione verrà vista, dalle generazioni future, alla stregua degli altri grandi massacri che abbiamo ricordato. E identica ne è ben a vedere la motivazione, data dalla volontà degli Stati più ricchi di respingere chi vorrebbe sfuggire a un triste destino, guardandosi però al tempo stesso bene dal rimuovere le cause della fuga e anzi aggravandole, ad esempio fomentando le guerre.

Sono rimasto molto colpito da alcune reazioni alla morte dei 250 rifugiati avvenuta nel Mediterraneo un paio di giorni fa. Esse esprimono senz’altro un livello di ripudio della stessa umanità di chi le ha formulate che mette paura. Ma ancora più paura mette uno Stato che dei respingimenti ha fatto e continua a fare la propria bandiera a tutti i costi, che ha criminalizzato i pescatori che salvavano le vite umane, che mette gli stessi poliziotti e finanzieri  in condizione di rinunciare alla propria umanità, anche se poi fortunatamente non tutti  i membri delle forze dell’ordine sono disposti a tanto: spesso sotto le divise batte un cuore e sotto i berretti funziona un cervello.

Il ministro Maroni è certamente una brava persona. Da giovane era addirittura di sinistra.  E può sembrare eccessivo definirlo un assassino, come ha fatto un deputato un paio di giorni fa. Ma il ministro Maroni  si è assunto per lungo tempo, assieme ad altri membri del governo di cui fa parte, la responsabilità di una politica di esclusione che sicuramente ha provocato e continuerà a provocare molte vittime innocenti. Fino a quando?

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