Il miliardario americano Donald TrumpSe tutto va male, nel 2012 Berlusconi potrebbe non essere l’unico miliardario a capo di una nazione del G7. Rispettando quella che ormai i giornalisti americani vedono come una barbosa consuetudine, il tycoon Donald John Trump negli ultimi tempi è tornato a sventolare la possibilità di candidarsi alla Casa Bianca per le prossime elezioni presidenziali.

“Parlo molto seriamente”, ha detto il magnate del lusso al New York Times, “sto seriamente pensando di candidarmi da tempo. Amo quel che sto facendo e ricavo un incredibile godimento nel guidare una grandiosa azienda. La mia azienda è straordinaria, ma la guida della nazione non è straordinaria, sta anzi facendo molto male.

Il punto è che Donald Trump non è affatto nuovo a dichiarazioni enfatiche sul tema. Come riporta il New York Times in un articolo dai toni assai scettici e canzonatori, che in ogni caso gli vale il taglio basso della prima pagina, il proprietario di hotel più famoso d’America fa trapelare notizie di una sua possibile imminente “discesa in campo” ogni qual volta ha un libro in pubblicazione (piccoli ceselli di modestia, con titoli tipo Pensa in grande e manda al diavolo tutti nel lavoro e nella vita) o il rating di un suo show Tv da far rialzare.

La prima volta fu nel settembre 1987, quando annunciò ai media statunitensi di partire per il New Hampshire poco prima delle primarie presidenziali repubblicane del 1988, e dando il via a una campagna stampa che lo portò a parlare di politica comprando pubblicità sui media. Proprio in virtù della sua campagna, il miliardario fu invitato alla Convention repubblicana di New Orleans del 1988, dove però annunciò il suo cambio di piani, anche perché nel frattempo le vendite del suo libro Trump: the Art of the Deal (Trump: l’arte dell’affare), uscito giusto nel novembre 1987, erano schizzate verso l’alto assicurandogli un posto nella classifica dei best-seller del New York Times.

La seconda volta fu verso la fine del 1999, appena prima dell’uscita di The America We Deserve (L’America che meritiamo), nuovo fondamentale pamphlet dell’amministratore delegato della Trump Organization, che quell’anno fece capire che si sarebbe impegnato per il Reform Party. Rimangono famose alcune sue frasi liquidatorie degli avversari dell’epoca: Pat Buchanan era “un amante di Hitler”, Al Gore “un leader untuoso”, George W. Bush aveva “abilità manageriali sub-normali”.

Ma questa era facile. Il miliardario in quell’occasione si scoprì anche favorevole a una legge sull’aborto, una posizione oggi abbandonata. Anche allora, non appena le vendite di The America We Deserve erano salite alle stelle, il miliardario annunciò il suo ritiro, che fu preso bene dai maggiorenti del Reform Party: “Donald Trump è venuto da noi, ha promosso i suoi hotel, ha promosso il suo ultimo libro, ha promosso se stesso, e s’è ritirato; il tutto, a nostre spese”.

Questa volta Trump non ha annunciato l’uscita di un suo nuovo libro (ma non si può dire, dal 2004 al 2010 ha saputo evacuarne uno all’anno), per cui c’è chi pensa che i suoi reiterati attacchi contro Obama, colpevole secondo lui di “dover mostrare il suo certificato di nascita, perché lì c’è scritto qualcosa che non gli piace”, nonché le sue varie dichiarazioni del tipo “Per la prima volta nella mia vita sto davvero pensando a candidarmi”, possano essere il preludio a un’effettiva campagna elettorale.

O forse sono il tentativo smaccato di far aumentare gli ascolti del programma Tv The Apprentice (L’apprendista), un reality che va in onda da sette anni sulla Nbc, e che nelle ultime due edizioni non riesce ad andare oltre gli 8,2 milioni di spettatori a serata. Di The Apprentice Trump è proprio orgoglioso, dal momento che ne è sia il produttore esecutivo che la star principale: nello show, infatti, Trump recita, con la modestia che lo ha reso noto nel mondo, la parte di se stesso, concedendo “il più importante colloquio di lavoro della tua vita” a sedici aspiranti candidati per un posto come manager nell’impero Trump, e un contratto da 250.000$. Stavolta però il magnate dovrà sbrigarsi a dare un annuncio ufficiale, perché in caso di vera corsa politica la Nbc sarà costretta dalla Federal Election Commission a sospendere lo show, come ha già dovuto fare per Newt Gingrich e Rick Santorum.

The Apprentice ha trasformato l’uomo che aveva tutto in una celebrità del piccolo schermo, chiamata di volta anche in altri programmi, come per esempio Morning Joe e The View, dove, intervistato dall’amica Barbara Walters, ha lanciato il suo attacco contro il presidente e il suo certificato di nascita. E pazienza se Obama ha già consegnato l’originale del certificato prima di giurare come inquilino della Casa Bianca, e che su quel documento c’è scritto che lui è nato a Honolulu, ossia su territorio statunitense, ed è quindi legittimato a ricoprire la carica a cui è stato eletto. Come ben sappiamo in Italia, per i miliardari che vanno in Tv la differenza tra una bugia e la realtà sta solo nel numero di volte che si può ripetere la bugia in televisione.

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