Di fronte alle orribili ondate di violenze contro i cristiani in Iraq e in Egitto, non possiamo non porci delle domande circa le cause che le hanno generate. E non dobbiamo riferirci solo all’Iraq e all’Egitto, ma analizzare i problemi in altri paesi per avere un quadro complessivo della situazione.

Le vere cause di queste trasformazioni sono soprattutto la decadenza democratica, l’oppressione e i problemi politici. Un’ondata di confusione e caos sta invadendo tutto il mondo arabo. Molti paesi vedono aumentare le violenze domestiche, ferocissime, che rendono il terreno fertile a maggiori e più vaste trasformazioni in senso autoritario. Segni di rivoluzione compaiono in Tunisia e in Algeria, seguite da disordini in altri paesi arabi, fino alla Giordania. La repressione politica e la mancanza di una vera volontà di fare qualsiasi tipo di riforma sono le cause fondamentali della trasformazione estremista.

Un semplice sguardo alla mappa del Medio Oriente mostra chiaramente la trasformazione della regione verso un radicalismo profondo. Una scena drammatica: dall’Afghanistan al Pakistan, dalla Somalia all’Iraq (contro i musulmani stessi), al Mar Rosso e allo Yemen fino agli attacchi in Egitto. L’estremismo è una minaccia grave per il mondo intero. Dunque una domanda da porgere a tutti noi sarebbe: siamo pronti ad affrontare nuovi e feroci movimenti di radicalismo? Dobbiamo renderci conto che oggi la politica di emarginazione socio-economica che nega i bisogni delle persone è il fattore principale della nascita dei terroristi.

Pertanto, bisognerebbe superare la debolezza istituzionale della società civile, assicurando la fortificazione delle strutture delle società stesse, e soprattutto spingere verso una vera riforma politica. I metodi di sicurezza militari non potranno controbattere la radicalizzazione. L’unica via sono i progetti di sviluppo e l’applicazione di processi di integrazione nei paesi arabi, tenendo però presenti le contraddizioni nei programmi dell’Unione Europea che riguardano i paesi arabi criticati sempre per l’assenza di democrazia.

Ma poi si scopre che nei paesi arabi la partecipazione politica esiste e che la “società civile” è molto attiva e che spesso è in conflitto con le proprie istituzioni nazionali, con le quali gli Stati europei sono in stretto rapporto. E allora si rifiuta in maniera contraddittoria di riconoscere questi aspetti.

L’argomento mondiale oggi è l’Islam, che viene confrontato, discusso, guardato da tutti i lati come se fosse la fonte dei tutti i problemi. Si parla dell’Islam come si parla di una cultura, una storia, un’ideologia, un sistema di governo e addirittura uno stile di vita. Tutto questo ha fatto sorgere nuovamente la domanda sulla possibilità di avere un Islam compatibile con lo stile di vita di oggi. Molti vogliono capire se questo è il vero ostacolo che rende difficile la convivenza e la comprensione tra le popolazioni dell’Est e quelle dell’Ovest. Una distanza di analisi e di pensiero sta aumentando e sta creando nel mondo due gruppi pronti a scontrarsi appena se ne presenta l’occasione. Per alcuni sono domande, per altri sono necessità, per molti addirittura minacce: modernizzare l’Islam o islamizzare la modernità?

Oggi la globalizzazione, paradossalmente rispetto al suo obiettivo proclamato, ha creato barriere e muri tra le varie culture, una svolta notevole verso un conservatorismo che isola le persone dentro i loro confini geografici, dove la chiusura e il fondamentalismo caratterizzano la vita attuale dell’uomo. Questo contraddice l’obiettivo dichiarato della modernità, generando delle conseguenze che potrebbero mettere a rischio il futuro dell’intera umanità.

Purtroppo nel mondo di oggi lo stereotipo della parola “religioso” è legato all’essere intollerante, arrogante e prevenuto a qualsiasi cambiamento. L’unica via d’uscita è lavorare per alzare il livello della coscienza politica e culturale dei cittadini dei paesi in via di sviluppo: ciò li renderà protagonisti attivi nei progetti che tendono a migliorare la situazione nei loro paesi e avrà un riflesso positivo sul resto del mondo. Solo questo ci potrebbe garantire una società in cui l’uomo si sente apprezzato, e così si può accettare l’altro e soprattutto il diverso da noi.

Per questo sarebbe un grande errore pensare agli attacchi contro i cristiani o le ondate di violenza domestica o addirittura la rivoluzione del Maghreb come atti individuali. Serve invece analizzarli al di là dell’intera situazione degradata. Dunque, la laica Francia non dovrebbe presentarsi come il difensore dei diritti di una minoranza religiosa, ma difendere i diritti di tutti senza nessuna distinzione.

Sbaglia chi pensa che la rivolta del popolo tunisino e ora algerino sia un atto spontaneo di rifiuto. Oggi gli studiosi europei sono invitati ad immergersi nel sentimento di queste nazioni represse per porre le mani sui semi della rivoluzione e delle ribellioni che si sviluppavano silenziosamente e lentamente.

In vari paesi, tra cui la Tunisia e l’Algeria, i venti della rivoluzione si trasformano in venti di cambiamento fino a diventare una vera e propria tempesta che sorprende tutti, in primo luogo le forze dominanti interne ed i suoi amici esterni. Inoltre, sicuramente queste rivolte non si fermeranno a questi paesi, ma si propagheranno in qualche altro, in un movimento di cui non vediamo la fine.

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