Quale miglior modo di passare un sabato o una domenica pomeriggio se non passeggiando nella sgargiante allegria di un centro commerciale? Quale migliore idea di spendere il proprio tempo (e il proprio denaro)? Chi non trova più interessante camminare tra palme di plastica, zampilli d’acqua sincronizzati, luci e clima costanti, piuttosto che fare una passeggiata al mare, in montagna, al lago o semplicemente in un parco o nel centro del proprio paese o città?

Crescono come funghi, e sono tutti uguali. Nonostante gli sforzi per renderli unici, originali e più attrezzati della concorrenza, cercando di mascherare il pugno nell’occhio che il più delle volte sono, ovunque si entri la scena che ci si trova davanti è sempre la stessa: gruppi di adolescenti vestiti tutti allo stesso modo sparsi qua e là, centinaia di famiglie accalcate con carrelli stracolmi (di cosa, poi?), qualche hostess belloccia per le promozioni di turno, un caldo soffocante in inverno ed un freddo raggelante in estate, l’immancabile puzzo dell’onnipresente McDonald’s e tanta, tanta tristezza.

Un centro commerciale è la negazione di tutto ciò che è genuino, individuale, spontaneo. È la subordinazione della qualità alla quantità. Dà l’illusione di poter trovare tutto ciò che serve, ma nonostante i supermercati e i duecentocinquanta negozi, spesso non si trova quello che si cerca (soprattutto se minimamente al di fuori delle mode del momento). Tutti propongono la stessa identica merce, ma ben pochi beni. E se non si presta abbastanza attenzione, si entra per comprare una matita e si esce con cento euro in meno, spesi in cose che poco prima non ci servivano affatto.

In posti come questi il “consumatore” regna, ma non governa. Ha l’impressione di scegliere ciò che vuole, ma in realtà è già stato tutto deciso da tempo da altri. Pubblicità, promozioni, offerte, marketing, mode e tendenze studiate a tavolino ci vogliono far credere che tutto possa essere ridotto ad una serie di desideri elementari, sempre rinnovati, soddisfacibili passando alla cassa. La gente gira a mo’ di zombie, sempre più frastornata dalle migliaia di possibilità proposte e, alla fine, sempre più esigente e insoddisfatta. Un po’ come nella vita di tutti i giorni. Un mondo inumano, letteralmente di plastica.

Certo tutto “costa meno” e soprattutto un posto così ha il merito di creare molti posti di lavoro. E in una società in cui non si è in grado di autoprodursi più niente, in cui non si sa nemmeno quale è la stagione in cui matura questo o quel frutto, in cui si è persa ogni competenza riguardante il saper fare ed ogni voglia di re-impararlo, in cui non si ha più il tempo per niente, quello di avere un lavoro (anche se spesso con contratti da fame a tempo determinato) è una priorità. Che poi sia quello di cassiera o di impacchettatore di regali di Natale poco conta. Meglio non imparare più niente, ma avere uno straccio di stipendio per qualche mese, a quanto pare…

Se si deve comprare qualcosa fa piacere almeno avere a che fare con qualcuno che sappia ciò che vende e, perché no, che metta un po’ di passione in quello che fa, piuttosto che qualche commesso/a annoiato/a che reciti un copione a memoria da usare coi clienti, senza però avere il minimo interesse per ciò che fa, né la minima competenza.

Sfruttiamo la fortuna che, per il momento, da italiani (e da europei) continuiamo ad avere: poter tornare al piccolo negozio e quando è necessario comprare qualcosa. Ci accorgeremo come, alla fine, potremmo addirittura risparmiare, nonostante i piccoli negozi siano più cari dei grandi centri. Il trucco è comprare solo ciò che ci serve, senza riempirsi i carrelli di spazzatura. Tutto ciò come primo passo verso l’emancipazione dal mondo del superfluo, dello spreco, del nulla. E magari, tutto ciò come primo passo verso ciò che alla lunga potrebbe portarci davvero all’autoproduzione dei beni.

I centri commerciali stanno diventando sempre più macchine da soldi travestite da dispensatori di felicità e benessere, dei conglomerati di intrattenimento. Inglobano in sé sempre più cose: centri fitness, ristoranti, sale giochi, cinema multisala e chi più ne ha più ne metta. E stanno rendendo tutto sempre più artificiale. Ma come dice lo scrittore inglese Tom Hodgkinson, “ci hanno già inculcato il bisogno di lavorare fino all’istupidimento, non lasciamo che creino il bisogno di rilassarsi e di svagarsi che prolunghino tale istupidimento”. Riprendiamoci il nostro tempo. Quello libero, almeno.

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