Il presidente della Camera Fini (ed i parlamentari che ancora lo appoggiano) gridano allo scandalo  paventando che dietro alla divulgazione del documento relativo alla società che ha acquistato l’ormai famoso appartamento di Montecarlo ci sarebbe l’attività dei servizi segreti italiani (non è chiaro se nel reperirlo o nel confezionarlo), i quali fanno istituzionalmente capo al Presidente del Consiglio dei Ministri, con cui, notoriamente, il presidente Fini ha oggi un forte contrasto.

Si invoca, in proposito, il pericolo per la democrazia stessa.

In tutto questo c’è qualcosa che mi sfugge.

Non molto tempo addietro il capo dei servizi segreti militari, Nicolò Pollari, fu accusato di attività di dossieraggio nei confronti di magistrati, giornalisti e politici della opposizione, nella sede di via Nazionale,  insieme al fido Pio Pompa.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri appose il segreto di Stato, sul presupposto – richiesto dalla legge – che si trattasse di attività indispensabili per la difesa delle istituzioni.

C’è chi gridò allo scandalo, all’abuso di potere, al pericolo per la democrazia.

L’inchiesta che era in corso fu stroncata dall’apposizione del segreto di Stato, e tutto finì nel nulla. Il generale Pollari (coinvolto anche nell’inchiesta sul sequestro di Abu Omar) si dimise e fu subito nominato dal Governo magistrato del Consiglio di Stato.

Perché Fini ed i c.d. finiani, all’epoca ancora a pieno titolo nella maggioranza del governo, non dissero alcunché in quella occasione?

Non vi era nessun pericolo allora nello spiare i magistrati? E i giornalisti? E i politici dell’opposizione?

Invocare la violazione dei principi democratici è una affermazione molto grave. Perché oggi sì e ieri no? È forse una questione di soggetti coinvolti?

Bhè, anche in questo caso potrebbe dirsi che Fini ormai è “all’opposizione”, e quindi l’eventuale attività di dossieraggio – secondo la logica già seguita – sarebbe una finalità istituzionale.

Appena pochi giorni fa i finiani si sono scagliati anche contro la compressione del pluralismo informativo e sul conflitto di interessi. Tutti temi ai quali hanno però contribuito attivamente negli ultimi anni. Un metodo, quindi, ampiamente condiviso. Sinora, almeno.

La difesa di Fini verso la politica di questi ultimi anni, e degli stessi fatti che solo oggi contesta, destano quindi un po’ di perplessità.

Non parlo del merito della vicenda (ancora da accertare, del resto), ma del cambio di rotta.

Verrebbe da dire, con un noto adagio, “chi è causa del suo mal…”.

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