L’altro giorno, navigando proprio in questo spazio, l’amico di blog Bonifacio mi ha posto una domanda intrigante e difficile. In sostanza: per rilanciare la Sinistra è più importante il radicamento sociale o la qualità comunicativa della leadership?

Provo a rispondere, sperando che altri amici/amiche vogliano farsi coinvolgere nella discussione (ormai l’avrete capito: sono un fanatico del dibattito pubblico come fondamento della democrazia rettamente intesa).

Il punto da cui parto è che la Sinistra non deve mai scimmiottare la Destra; pena la sconfitta. Perché quest’ultima gioca necessariamente in difesa, mentre le posizioni “mancine” sono per natura votate all’attacco. Infatti la squadra destrorsa ha come obiettivo frenare o azzerare le spinte al cambiamento (posizioni conservatrici e/o reazionarie), in quanto presidiatrice degli equilibri vigenti, l’altra è chiamata a intercettare e – dunque – promuovere bisogni di Giustizia e di Libertà, Inclusione (posizioni riformiste e/o radicali).

Detto così il quadro risulta abbastanza chiaro.

Invece tutto si complica quando le posizioni difensive tendono ad ammantarsi gattopardescamente di “novismo” (e – direbbe Bush jr. – “compassione”, ambiguo sostituto della solidarietà). Ma attenzione: è solo una tattica, teorizzata già in epoca vittoriana dal primo ministro inglese Disraeli, quando invitava i Tory (conservatori) a “sorprendere i Whig (progressisti) mentre sono al bagno e filarsela coi loro vestiti!”. Questo – però – non vale all’incontrario, come tanti sedicenti progressisti degli ultimi tempi hanno tentato di fare, ritenendo una gran furbata indossare i panni degli avversari: se uno vuole votare Destra sceglie l’originale, non accontentandosi di pallidi surrogati. Ma vallo a spiegare ai tanti epigoni nostrani del blairismo…

Per questo motivo ritengo che la prima qualità di una forza di Sinistra sia quella di interpretare correttamente la domanda sociale raccordandosi coi movimenti di lotta e protesta, cui offrire indirizzi e organizzazione. Un lavoro che va fatto in squadra. Difatti un tempo si preferiva parlare non di solitari “lider maximi” (tendenzialmente narcisistici) ma di “gruppi dirigenti”; e la conseguente preoccupazione era che non dessero vita a nomenklature autoreferenziali di “imprenditori di se stessi”.

Il mito – sostanzialmente di destra (era don Gianni Baget Bozzo, cappellano di Berlusconi, che teorizzava la sacralità del corpo del Capo) – del leader carismatico come “uomo forte” a cui abbandonarsi emotivamente, oggi dominante, trascura il fatto che, se vogliono diventare progetto, le passioni vanno razionalizzate.

Antiche lezioni ormai totalmente rimosse, in questa fase della politica dispersa nel virtuale; una dimensione che privilegia i personaggi, di fatto attori di una recita in cui identificarsi. In una relazione che passivizza.

Niente a che spartire con le personalità-simbolo (che ne so, John F. Kennedy, Giacomo Matteotti…) intese come risorse – appunto – paradigmatiche capaci di mobilitare l’azione collettiva. Certo, i simboli sono necessari nelle fasi di rottura, anche a sinistra. Ma poi si passa alla politica quotidiana, quella che Max Weber definiva “un lento trapanare tavole dure”. E qui, più che il personaggio eccezionale, s’impone la militanza attiva di donne e uomini concreti. La partecipazione critica.

Sono consapevole che “l’inverno del nostro scontento” in cui ci troviamo a vivere, il disgusto per il “berlusconismo realizzato” di questi anni, spinge sempre più persone alla ricerca di una qualche scorciatoia di uscita. Magari contrapponendo “personaggi” all’insopportabile Personaggio di Arcore.

Temo che, come spesso accade alle scorciatoie, la soluzione si riveli illusoria.

Mi si potrebbe rispondere: ma queste sono le regole di una società mediatizzata.

Non lo credo: questo è quanto si cerca di farci pensare, perché si continui a restare a bagnomaria nella realtà virtuale, nella politica ridotta a star-system (politainment: la politica come uno spettacolo di intrattenimento); nella trappola della comunicazione d’immagine (creata artificialmente dagli spin-doctors). Una fase pluridecennale che sta entrando in fase terminale, da quando il mondo della vita ha fatto irruzione sui set del politainment, devastandoli. Dai morti nel ginepraio Medio Orientale, ai carrelli semi vuoti dei nostri supermercati, con le famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese.

La verità sta spazzando via il verisimile mediatico.

La Sinistra presa sul serio è chiamata a navigare nel mare tempestoso del sociale, uscendo da quella che Italo Calvino chiamava “la grande bonaccia del Mar delle Antille”. I suoi leader sono chiamati a interpretare e rappresentare il tuono che giunge dalle profondità umane portandolo a disegno strategico. Con una virtù che fa premio su qualsivoglia brillantezza o seduttività: essere credibili.

C'era una volta la Sinistra

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