L’Italia non è la Germania, con la maggioranza dei cittadini contraria a una riduzione delle tasse per il timore di uno smantellamento dello stato sociale. Non stupisce quindi che la decisione di ridurre le imposte sugli affitti, tramite la c.d. cedolare secca al 20%, abbia riscosso apprezzamenti generalizzati. Fra i tanti commenti plaudenti spicca però quello di Milano Finanza-Mercati Finanziari (MF), testata che ormai è diventata l’organo di stampa ufficiale del governo.
L’articolo “Inquilini e proprietari riuniti dalla cedolare” di Gabriele Frontoni (6-8-2010, pag. 6) cita in chiusura un confronto secondo cui l’Italia è lo stato europeo che tassa meno i redditi da locazione. Correttamente bisognerebbe dire solo che potrebbe diventarlo, perché il testo approvato dal governo deve ancora passare al vaglio della Conferenza Stato-Regioni e del Parlamento, con possibilità di modifiche.
Però il punto è un altro. È che l’articolo conclude inneggiando a questo che sarebbe “un primato di convenienza che […] potrebbe essere seguito da altri con beneficio per l’intero Paese e senza gravare sulle spalle dello Stato”.
Ma questa è una falsità bell’e buone. Sorvolando sui pretesi (e inesistenti) benefici per l’intero Paese, una minore tassazione equivale tautologicamente a inferiori entrate per il fisco e dunque a un gravame per lo Stato.
Per completezza aggiungiamo che è una favola che aliquote più basse riducano l’evasione fiscale, essendo la sua aliquota pari a zero.
In realtà con la cedolare secca sugli affitti si chiude un cerchio. Con essa l’attuale governo vuole ridurre fortemente le tasse sugli investimenti immobiliari per i redditi alti. Nel 2003 un altro governo Berlusconi aveva fatto di peggio, aumentandole sugli investimenti azionari per i redditi medio-bassi. Aveva eliminato il credito d’imposta sui dividendi, imponendo anche lì una cedolare secca. Che però significava (e tuttora significa) un danno nell’ordine del 20-25% per i piccoli azionisti (vedi la tabella).
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