La Costituzione, da riformare. Il Paese, tutto intercettato. Nell’arco di un discorso, quello pronunciato stamattina di fronte alla assemblea nazionale di Confcommercio, Berlusconi riscrive numeri e leggi, detta i tempi e distribuisce colpe.

La prima, mai digerita, è il dissenso di Fini sull’iter della legge Bavaglio alla Camera: “Sento che ora si parla di mettere in calendario per il mese di settembre il ddl intercettazioni”, osserva critico il premier. “Poi bisognerà vedere se il Capo dello Stato vorrà firmarlo” aggiunge guardando al Colle. “E poi, quando uscirà, ai pm della sinistra non piacerà e si appelleranno alla Corte costituzionale che, secondo quanto mi dicono, lo boccerà”, conclude la sua escalation polemica il capo del governo.

Nel mirino tornano i giudici e la stampa non allineata, “la piccola lobby dei magistrati e dei giornalisti” che ostacola il passo di un provvedimento per il Cavaliere indispensabile. Perché “non c’è vera democrazia” se in Italia “siamo tutti spiati”, se ci sono “150 mila telefoni sotto controllo” e “7 milioni e mezzo di persone che possono essere ascoltate”.

I numeri sono palesemente diversi – poco più di 119mila le utenze intercettate lo scorso anno – ma non per Berlusconi: “Non siamo in un paese civile, non è una vera democrazia. Non viene tutelata la libertà di parola. Non possiamo tollerarlo più”, alza la voce il premier tutt’altro che rassegnato, a poche ore dal vertice del partito a Palazzo Grazioli, in corso in queste ore. Del resto, fa notare Berlusconi “ci sono voluti 4 mesi per fare la legge, poi il consiglio dei ministri l’ha varata, poi è stata 11 mesi alla Camera, poi ancora 12 mesi e mezzo al Senato”. Un tempo sufficiente a respingere preventivamente la critica di un dibattito strozzato. “Affermazioni scomposte e pericolose”, reagisce infatti Pierluigi Bersani, segretario del Pd, mentre l’Anm, con il suo presidente Luca Palamara contesta i numeri.

Il resto del discorso scorre tra il refrain della crisi superata meglio di altri paesi, la promessa di una imminente grande riforma della giustizia penale e la nota lamentela sugli scarsi poteri del premier, che rende necessario modificare al più presto costituzione ed architettura istituzionale. L’applauso più forte Berlusconi lo chiama per Gianni Letta “persona straordinaria e di onestà intellettuale veramente inarrivabile, senza la quale anche quel poco che facciamo non potremmo farlo”. Dietro la lavagna finiscono invece altri politici di professione. “Abbiamo troppa gente che vive di politica, non solo in Parlamento, ma nelle province, nei comuni, nelle regioni: bisognerebbe dimezzarla”, si toglie sassolini dalla scarpa il Cavaliere, che dice di sentirsi ancora e sempre prima di tutto un imprenditore, a capo di un governo che molto ha già fatto, ma “potrebbe fare molto di più se le condizioni di operatività fossero diverse”.

Invece in Italia “Tra il dire e il fare c’è di mezzo non solo il mare, ma addirittura l’Oceano”. “E quando un imprenditore come me deve passare sotto continue forche caudine, dice ‘chi me lo fa fare, ritorno a fare l’imprenditore o vado in pensione”, è la conclusione che il Cavaliere lancia senza troppa convinzione.

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