Ci sono due ricostruzioni in Abruzzo. La prima, quella che funziona benissimo da red carpet per i politici, delle case da ricostruire da zero.

Ma ce ne è una seconda, meno interessante per lo show politico, e infatti passata sotto silenzio: quello delle abitazioni temporaneamente inagibili (tutte o in parte) ma agibili con provvedimenti di pronto intervento, classificate nelle categorie B e C.

In tutto quasi 10.000 case in cui i terremotati potrebbero rientrare anche domani, ma che aspettano il via libera definitivo dei tecnici del Comune. Il meccanismo è questo: gli aquilani commissionano una perizia privata sui costi delle ristrutturazioni della casa, che poi viene vagliata dai tecnici comunali. Un doppio passaggio necessario, considerato che il Comune si è visto recapitare anche improbabili perizie da 900.000 euro.

Ma il tempo non c’è e i dipendenti non bastano, tanto che l’amministrazione comunale sta cercando di eliminare questo secondo passaggio, e aggirare il problema con la cosiddetta “semiagibilità”, artificio procedurale che affida ai tecnici privati locali il rilascio dell’autorizzazione al rientro nelle case. La Protezione Civile ha perfino emesso una circolare che prevede la possibilità per gli aquilani di rimanere nella propria abitazione mentre viene riparata.

La questione dell’agibilità è una bella patata bollente che nessuno vuole tenere tra le mani. Il presidente dell’Ordine degli architetti dell’Aquila ha storto il naso: “Siamo chiamati a redigere atti di una responsabilità inaudita”, ha detto (un eccesso di scrupolo che sarebbe servito molto quando quelle stesse case furono costruite).

Per risolvere la situazione in tempi brevi, il Comune è pronto ad assumere decine di ingegneri e tecnici alla velocità della luce, senza concorso ma a chiamata diretta.

Peccato che i tecnici a costo zero ci sarebbero, eccome. Basterebbe utilizzare i 160 lavoratori che sono stati messi in cassa integrazione da Abruzzo Engineering, una società mista 60% Regione Abruzzo, 10 % Provincia dell’Aquila e 30 % Selex del Gruppo Finmeccanica: 100 di loro sono geologi, ingegneri, geometri, architetti, dipendenti insomma preparati, che vengono da una formazione specifica nella Protezione civile, e che conoscono bene non solo il territorio, ma gli edifici.

I tecnici di Abruzzo Engineering sono infatti gli stessi che prima del terremoto, in tempi evidentemente almeno sospettabili, avevano redatto la mappatura degli edifici ad alta vulnerabilità sismica in Abruzzo. Le loro voci siano state inascoltate e il documento rimasto a prendere polvere nei cassetti della Regione. E’ stato tirato fuori, ma troppo tardi, dopo che quelle strutture puntualmente sono crollate una a una.

Perché allora non si utilizzano quelle competenze, già pagate dallo Stato, piuttosto di assumerne di nuove? Perché, si chiedono i lavoratori di Abruzzo Engineering, non “siamo stati coinvolti nell’attività post sisma?”.

Misteri dell’amministrazione pubblica. Che solo a giugno, durante un tavolo tecnico con i sindacati, si è accorta che Abruzzo Engineering, ora sul punto del fallimento, non ha un piano industriale adeguato. Il governatore Gianni Chiodi ne ha promesso uno nuovo, che dovrebbe essere presentato il 21 settembre. Nell’attesa di sapere di che morte devono morire, i 160 dipendenti sono senza lavoro, e quei terremotati aquilani, che a casa potrebbero rientrarci, in mezzo a una strada.

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