La mafia in Lombardia non c’è. Se lo dice il sindaco Letizia Moratti, dobbiamo fidarci. Chi non si fida di Letizia o è un ladro o è una spia. Vadano a quel paese Gianni Barbacetto, Roberto Galullo e quei pochi altri che ancora gridano «al lupo al lupo».

Succede però che a Lodi, che pare far parte della Lombardia centro meridionale, questo è da verificare, c’è un attore di teatro sotto scorta per minacce mafiose: chiamasi Giulio Cavalli. Attenzione da parte dei clan guadagnata sul campo, con lo spettacolo do ut des, sui ridicoli riti dei mafiosi. L’attore, che è anche direttore artistico del teatro di Nebiolo di Tavazzano con Villavesco, nel suo spettacolo metteva alla berlina i boss e li sotterrava di irriverenti risate. Poco dopo, sempre nella terra lombarda vergine da penetrazioni mafiose, ha subito mezza dozzina di intimidazioni ufficiali ed altrettante ufficiose. Croci sulle porte, telefonate, mail e altri atti su cui per adesso vige il massimo riserbo. Pare che cosa nostra, ‘ndrangheta camorra e affini non abbiano gradito l’ironia. Pare che non l’abbiamo capita; strano. In una terra in cui la mafia non c’è, l’autore satirico, il giullare, il buffone di corte vive scortato da due uomini armati?

Senza volere minimamente scomporre la permanente d’amianto del sindaco Moratti, qui c’è qualcosa che non va. In questo clima di «la mafia non c’è ma ne vedo gli effetti», in attesa che gli unici a guadagnare con l’Expo del 2015 siano i clan mafiosi, Giulio Cavalli, che in agosto non potendo uscire di casa con moglie e figlio senza l’ombra della scorta, si annoia. Anziché contare le pecore o le minacce ha preso carta e penna e ha buttato giù una serie di riflessioni. Prendetele con le pinze, mica sono serie; a scrivere è pur sempre un giullare, e pure visionario.

«A Milano che “la mafia non esiste” o perlomeno “non appartiene a questa città” la sindachessa Moratti ha provato a ripeterlo ovunque dai consigli comunali, alle televisioni in prima serata fino ad abusarne favoleggiandoselo (probabilmente) la sera per addormentarsi. Intanto tutti felici e contenti concordano nel ritenere i 6 caseggiati popolari di Viale Sarca e via Fulvio Testi in mano agli onomatopeici fratelli Porcino (bossetti di periferia legati alle cosche di Melito di Porto Salvo), i nomadi Hudorovich e i Braidic semplicemente un “neo”, una pozzanghera piccola piccola in quel placido, enorme e ligresteo tappeto di cemento che è il capoluogo lombardo spiato dall’alto.

A Lonate Pozzolo (come descrive puntualmente nel suo sito il bravo Roberto Galullo) il leghista Modesto Verderio, dopo aver denunciato gli interessi della famiglia Filipelli tutta in odore balsamico di ‘ndrangheta all’interno dell’areoporto di Malpensa finisce accantonato come si compete al visionario del rione. Intanto una statua di San Cataldo arriva da Cirò Marina a Lonate Pozzolo per scalzare Sant’Ambrogio nella festa del santo patrono con prepotenza laica.

A Buccinasco perde la pazienza addirittura la Lega che sul proprio giornale cittadino, El giornalin de Bucinasc, scrive contro il sindaco Loris Cereda: “Nonostante il sindaco Cereda continui a prodigarsi per dichiarare che a Buccinasco la mafia non è un problema e non riguarda le istituzioni i cittadini sono sempre più allarmati dalle notizie dei telegiornali che parlano di arresti e di commistioni fra politica e malavita organizzata. Noi siamo stanchi di sentire ripetere le solite litanie: la ‘ndrangheta è un’invenzione dei giornalisti, delle istituzioni, delle commissioni parlamentari, ecc”.

A Desio (fine 2008) Il Consiglio comunale ha respinto un ordine del giorno contro la mafia (’ndrangheta, camorra e quant’altro) in Brianza. Hanno votato contro tutte le forze di maggioranza. L’ordine del giorno era stato presentato in seguito alla scoperta delle discariche abusive di rifiuti tossici a Desio e a Seregno.

A Corsico diventa quasi una vergogna una targa di marmo in onore di Silvia Ruotolo, donna, moglie e madre innocente, uccisa durante una sparatoria tra clan rivali della Camorra, a Napoli. Il Comune voleva affiggere la targa in ricordo di Silvia Ruotolo sotto i portici di via Malakoff, al civico 6: oggi sede di un’associazione che si occupa di disabili psichici, ieri supermarket gestito da un mafioso della famiglia siciliana Ciulla, confiscato dallo Stato e poi riassegnato a fini sociali, come prevede la legge 109. Durante l’ultima assemblea di condominio il permesso non è stato concesso. In Comune ha deciso comunque di installare la targa.

Negli uffici della Direzione Nazionale Antimafia Enzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia, parla da profeta inascoltato. “Che la ‘ndrangheta stesse colonizzando Milano lo dicevo negli anni 80. L’ ho confermato due anni fa e i fatti mi danno ragione. Ora c’è l’ Expo e non so più come dirlo».

Stupirebbe questo atteggiamento impermeabile in un paese normale, dove normalmente i politici dovrebbero essere eletti per prendere posizione, dare segnali forti e non solo per banalmente amministrare capitoli di spesa e distribuire (scaricandosene) ruoli e responsabilità. Qui non si tratta di disquisire i ruoli di governo e ordine pubblico come stabilito dalla legge; qui si rimane a supplicare un segnale, un lampo in cui ci si illuda che Marcello Paparo non possa sentirsi “libero” di collezionare bazooka come nei peggiori scenari di desolazione metropolitana post industriale, o Morabito non sfrecci impunito a parcheggiare il ferrarino in un posteggio dell’Ortomercato con l’arroganza di uno zorro a quattro ruote, o che Andrea Porcino (classe 1972, giusto per identificarlo meglio là fuori dal suo fortino dove gioca a seminare terrore) possa addirittura inventarsi intermediario con arie da tour operator mentre raccomanda ai secondini del carcere milanese di San Vittore dei buoni servigi e una residenza confortevole per i suoi amici Nino, Ettore e Massimo.

L’impunità dentro le teste (oltre alle tasche) dei capibastone ‘ndranghetisti o dei prestanome camorristi o dei ragionieri di Cosa Nostra in Lombardia è una responsabilità politica. Risolvibile semplicemente con la voglia e l’onestà di volere dare al di là di tutto un segnale. Per restituire dignità anche nella forma».

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