“Si salva il lavoro tenendo aperte le fabbriche, non alimentando le polemiche e le discussioni”. Per Matteo Renzi era cosa fatta: con l’accordo di programma siglato dal governo e dal cavalier Giovanni Arvedi nell’ottobre 2014 la Ferriera di Trieste sarebbe rinata. Fine della crisi aziendale e piena sostenibilità ambientale per lo stabilimento siderurgico ribattezzato “l’Ilva del nord“. “Veniamo qui alla sola condizione che non inquini, e non inquinerà”, aveva ribadito l’imprenditore siderurgico dopo l’acquisizione. Ma delle dichiarazioni dell’ex premier e del cavaliere dell’acciaio, dopo tre anni non rimane nulla: la produzione è nuovamente a rischio e l’impianto inquina ancora. Peggio: per produrre chiedono di inquinare un po’ di più. Intanto Comune e Regione litigano senza assumersi la responsabilità di intervenire. Interpellata nel merito, il governatore Debora Serracchiani nega un commento. Il motivo? Il Fatto Quotidiano – fa sapere – “non è una testata oggettiva e imparziale”.

“Sono 40 le crisi aziendali di cui il governo si è occupato e che sono state risolte da febbraio”, assicurava il Pd nel video “Un’impresa possibile”, pubblicato dalla web tv del Nazareno YouDem nel dicembre 2014. In quel filmato, tra Alitalia ed Elettrolux, figurava anche la Ferriera di Trieste. Scongiurata la chiusura dello stabilimento con l’acquisizione da parte del gruppo Arvedi, erano stati in molti a invocare la svolta anche per l’annoso problema dell’inquinamento, che in passato aveva superato persino le emissioni dell’Ilva di Taranto.

Ma a distanza di qualche anno è la stessa proprietà ad alzare bandiera bianca: l’assetto produttivo imposto all’altoforno da una nuova diffida regionale “comporta difficoltà di tipo tecnico sia sulla regolarità di marcia che sulla vita residua dell’impianto stesso”. Cui seguirebbe “l’aggravio economico non sostenibile” a seguito della riduzione della produttività. Insomma, impossibile stare dentro i limiti di inquinamento concessi. È questa la risposta di Siderurgica Triestina – la società del gruppo Arvedi – all’ordinanza emessa dopo il nuovo caso di sforamento nei livelli delle polveri provenienti dallo stabilimento. “Il valore rilevato a maggio nella stazione di via Ponticello – aveva chiarito in una nota la Regione – sarebbe pari a 336 microgrammi per metro quadro”, un dato che è “pari al 134% del tetto prefissato”. Chiudere tutto quindi? Tempo al tempo. La Regione indica la soluzione per rientrare nei limiti dell’Autorizzazione Integrata Ambientale da lei stessa fissati: “Il contenimento delle colate mensili in un numero massimo di 290, la limitazione della marcia dell’altoforno entro le 34 mila tonnellate nell’arco dei 30 giorni e la limitazione della produzione di coke a quelle strettamente funzionali alla produzione di ghisa”. E se la proprietà ha poi fatto notare che simili vincoli non sono conciliabili con l’attività produttiva, l’Arpa del Friuli Venezia Giulia ha certificato, in una nota dello scorso agosto, che gli interventi di Siderurgica Triestina in attuazione della diffida “non sono stati sufficienti a rispettare i valori obiettivo di polverosità”.

Eppure, nel febbraio 2015, le parole del cavaliere Giovanni Arvedi erano state chiare: “Noi non veniamo qui per fare danno al nostro prossimo. L’uomo è in grado tecnicamente di risolvere i problemi che causa, altrimenti è meglio che non lavori”. Nell’accordo di programma c’era infatti anche il piano di risanamento degli impianti. Una condizione essenziale per il rilascio dell’Aia da parte della Regione: “Le condizioni per il proseguimento dell’attività sono la messa in sicurezza operativa del sito”, dichiarava allora Debora Serracchiani. Poi l’Autorizzazione è arrivata lo stesso, i risultati no. A sostenere che i lavori eseguiti hanno migliorato le cose oggi non rimane più nessuno. A Trieste quando arriva il vento è frequente che scure nubi di polvere si levino dallo stabilimento: sono i cosiddetti “spolveramenti“, con i minerali che si sollevano dai depositi non coperti per ricadere sulla città. Un fenomeno preoccupante, a cui l’azienda ha risposto presentando un progetto di copertura dei parchi minerali. Ma i tempi sono lunghi: quattro anni tra progettazione ed esecuzione. Troppi a detta dei comitati ambientalisti: “Le polveri cadono in quantità intollerabile, solo quest’estate ci sono stati nove spolveramenti, che l’azienda ha puntualmente definito eventi eccezionali”, attacca Alda Sancin dell’associazione NoSmog, che vive nel quartiere di Servola, il più esposto. “Non possiamo andare avanti così – aggiunge – qui si vive male”.

Un male che non riguarda solo chi abita nei pressi dell’impianto, ma anche chi lì dentro lavora: il primo settembre 2017 gli operai della Ferriera hanno incrociato le braccia in uno sciopero di otto ore per chiedere investimenti, garanzie occupazionali e un piano industriale che chiarisca quali sono le intenzioni e i progetti futuri della proprietà. Come hanno infatti dichiarato i sindacalisti Marco Relli della Fiom e Franco Palman dello Uilm al quotidiano il Piccolo, “il milione di euro per il 2017 e i quattro milioni programmati per il biennio 2018-2019 sono una provvista largamente insufficiente, sì e no bastano per la manutenzione ordinaria. Siamo distanti dalle reali esigenze della Ferriera”. “È ormai chiaro a tutti che l’area a caldo non ha futuro Arvedi non ha intenzione di investire i soldi necessari per sistemare l’altoforno e i parchi, e per questo non può offrire un piano industriale”, dicono dal Comitato 5 XII, gli attivisti che nel corso della campagna elettorale per le ultime amministrative hanno imposto il tema della chiusura della parte a più alto impatto ambientale. Che auspicano “un accordo con gli operai per ottenere la chiusura dell’area a caldo, la riconversione e la garanzia che si mantengano i posti di lavoro”.

E le responsabilità politiche? Ovviamente non riguardano solo il governo. A rinfacciarsele sono oggi Regione e Comune, rispettivamente a guidate da centrosinistra e centrodestra. Il sindaco Roberto Dipiazza accusa la Regione per non aver annullato – come formalmente richiesto dal Comune tramite diffida – l’Autorizzazione Integrata Ambientale , “scudo normativo che permette allo stabilimento di operare secondo regole indicate nella stessa AIA e quindi al di fuori ed al di sopra della normale normativa ambientale”, e rivendica come l’attività della sua amministrazione “continua ad essere incalzante per arrivare alla chiusura dell’area a caldo attraverso la costante attività di controllo e produzione di elementi che stanno dando buoni risultati”. La Regione guidata da Debora Serracchiani, dal canto suo, ribatte per bocca dell’Assessore all’Ambiente Sara Vito che “la massima autorità sanitaria è il Sindaco, il quale potrebbe adottare, se ritiene ne ricorrano i presupposti, i provvedimenti di sua competenza”. E ancora: “Viene da chiedersi perché tali provvedimenti, ad esempio ordinanze urgenti, non siano stati adottati, preferendo invece diffidare la Regione a farlo al posto suo”. La sintesi la fa Andrea Ussai, consigliere regionale Movimento 5 Stelle: «La Regione può revocare l’Aia poiché non vengono rispettate le prescrizioni, determinando situazioni di pericolo per la salute e l’ambiente, così come il Comune in seguito alle recenti tempeste di sabbia può emettere un’ordinanza per ridurre, di molto, la produzione. Se non si agisce in tal senso è perché manca la volontà politica”.

A mettere tutti in imbarazzo ci pensa una lettera di Siderurgica Triestina indirizzata alla Presidente del Friuli Venezia Giulia Serracchiani e al Sindaco di Trieste Dipiazza nei primi giorni del luglio scorso. Una missiva in cui si chiede un confronto immediato: “È necessario ordinare le materie prime entro il 25 luglio se si vuole dare continuità alla produzione ed in tal senso l’Azienda ritiene necessario e urgente che i soggetti istituzionali preposti comunichino quanto prima come procedere in termini risolutivi di quanto imposto dalla diffida”. Ma la scadenza del 25 luglio è passata in silenzio, senza risposte ufficiali da Regione e Comune. Come mai? Interpellata nel merito, la presidente del Friuli Venezia Giulia evita le domande: “La presidente non risponde al Fatto Quotidiano, non ritenendo la testata rispondente alle necessarie caratteristiche di oggettività e imparzialità“, scrivono dal suo staff. Mentre il primo cittadino Dipiazza ha negato questa ricostruzione dei fatti: “Se la lettera fosse stata “segreta” non l’avremmo pubblicamente consegnata nel corso della seduta del Consiglio comunale dedicata alla Ferriera di Trieste”. Peccato che il Consiglio si sia riunito il 28 luglio, tre giorni dopo la scadenza indicata dalla proprietà. Il cerino torna così ad Arvedi, da cui tutti – dagli operai ai politici – attendono la presentazione di un piano industriale che chiarisca il destino dello stabilimento. Il prossimo appuntamento è per il 28 settembre, quando la questione sarà affrontata dal ministero dello Sviluppo Economico. Nel frattempo l’azienda ha annunciato nuovi lavori di manutenzione all’altoforno per i prossimi giorni, con i quali – ha dichiarato Siderurgica Triestina – “riteniamo di mettere fine” agli sforamenti. Ma nel quartiere di Servola, dopo anni di promesse cadute nel vuoto, sono ormai in pochi a crederci. E per la prima volta hanno dalla loro anche gli operai della Ferriera.

Articolo Precedente

Terremoto Ischia: dal 1883 nessun governo può dirsi estraneo a morti, feriti e crolli

next
Articolo Successivo

Alluvione, dai blocchi della burocrazia ai fiumi interrati: lo choc di Livorno è un bignami per capire cosa dovrà cambiare

next