Non solo vittime del viaggio nel deserto e della traversata del Mediterraneo, la chiusura delle frontiere interne dell’Europa sta rendendo sempre più pericoloso il viaggio dei migranti intenzionati a chiedere asilo fuori dall’Italia. Da un anno a questa parte, 21 persone sono morte nel tentativo di passare in Francia, Svizzera e Austria. Quattordici i morti nella zona di Ventimiglia, due tra Como e Chiasso e cinque sulla tratta del Brennero. Rawda Abdu è una di queste vittime. Partita dall’Etiopia all’età di 23 anni, già madre di una bambina nata da una violenza in un sobborgo di Addis Abeba, dopo sei anni di lavori precari in Egitto e Libia lo scorso anno decide di rischiare la traversata in mare, verso l’Europa. Si imbarca a Tripoli e arriva a Palermo l’8 novembre 2016. Identificata a Reggio Calabria il giorno successivo, viene trasferita ad un centro di accoglienza di Milano il 14 novembre. Due giorni dopo un treno la travolge mentre percorre i binari , all’altezza di Avio, provincia di Trento.

A ricostruire la vicenda è Sara Ballardini di Antenne Migranti, progetto che insieme alla Fondazione Alexander Langer monitora la tratta del Brennero per dare informazioni e supporto legale ai migranti. “Respinta dalla polizia di frontiera in base al trattato di Dublino, viene caricata su un treno regionale che dal confine la riporta a sud, direzione Verona”. Senza biglietto, Rawda viene fatta scendere intorno alle 22 alla piccola stazione di Borghetto. Spaesata inizia a camminare a lato della linea ferroviaria. Non si accorge del treno che arriva alle sue spalle e la sbalza sulla massicciata. “Il suo corpo sarebbe rimasto senza nome – racconta Valentina Sega, che vive a Trento ma è originaria di Avio e ha voluto seguire la vicenda da subito – la Polfer si era infatti limitata a prendere le impronte digitali, anche se nella borsetta che la ragazza aveva con sé c’era un foglio con i numeri di tutta la sua famiglia”. Sarà poi Zebenay Jabe Daka, cittadino italiano presidente dell’associazione trentina “Amici dell’Etiopia”, a informare i parenti di Rawda e a ricostruire la sua storia. Di famiglia poverissima, con le sue rimesse manteneva l’intero nucleo familiare: i genitori e la figlia. “La famiglia di Rawda era distrutta, l’unico desiderio che sono riusciti a esprimere è stato quello di poter riavere la salma”, racconta Zebenay.

Ma il sindaco di Avio Federico Secchi, eletto con Lega e Forza Italia e noto per i saluti romani in onore di un combattente della Repubblica di Salò, non aveva intenzione di contribuire alle spese per il rimpatrio. “Per fortuna altre persone nella giunta comunale ci hanno dato una mano, ma soprattutto il parroco e tante associazioni solidali. In poche settimane siamo riusciti a raccogliere 11mila euro, cifra sufficiente al rimpatrio della salma e all’avviamento di un progetto di sostegno a distanza per la figlia rimasta orfana”, ricorda Zebenay. “Una colletta a cui ha partecipato l’intero paese, una mobilitazione solidale enorme che conferma come, davanti a casi concreti, le persone comuni riescano a superare pregiudizi e chiusure”. Molti dei cittadini solidali, infatti, pochi mesi prima si erano espressi contrariamente all’accoglienza di alcuni richiedenti asilo in paese. “Al momento dell’ultimo saluto al cimitero di Avio, prima del rimpatrio della salma, c’era tutto il paese e anche la vicesindaco: in tanti hanno cambiato il proprio sguardo sulla problematica dei migranti”.

Folgorati o travolti da treni mentre camminano sulle rotaie, investiti lungo l’autostrada o sui sentieri di montagna. Le vittime delle frontiere sono quasi sempre molto giovani. Tra i pochi a cui si è riusciti a dare un nome ci sono diversi minorenni, che avrebbero potuto attraversare legalmente la frontiera, se solo qualcuno li avesse correttamente informati dei loro diritti e i governi di Francia, Svizzera e Austria non respingessero indiscriminatamente chi chiede loro asilo dopo essere passato dall’Italia.
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