Gianfranco Fini non era la vittima. Nella compravendita della casa di Montecarlo l’ex presidente della Camera aveva messo “la sua posizione politica” a disposizione di Francesco Corallo che nascondeva in società offshore i proventi delle tasse evase in Italia, sistema all’interno del quale il delfino di Giorgio Almirante aveva una “centralità progettuale e decisionale“. Aveva deciso lui l’acquisto dell’appartamento, mentre “i Tulliani sarebbero stati gli intestatari formali” dei conti sui quali il re delle slot versava milioni di euro. È il quadro che emerge dall’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Simonetta d’Alessandro che ha portato al sequestro di due polizze vita per un totale di un milione di euro.

“Non posso essere chiamato a rispondere in termini personali“, si difendeva il 25 ottobre 2012. “Sono stato un coglione. Corrotto, mai”, assicurava il 14 dicembre 2016 in un’intervista al Fatto Quotidiano. Oggi le carte dell’indagine raccontano un’altra storia. L’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte 14 venduto per 300mila euro al cognato Giancarlo Tulliani, che a Fini sarebbe costato la carriera politica, e sulla quale un’inchiesta era stata archiviata nel marzo 2011, sembra essere la punta dell’iceberg. Dietro c’è la fitta rete di società di comodo costruita da Corallo – arrestato il 16 dicembre insieme all’ex deputato di An Amedeo Laboccetta – per nascondere le centinaia di milioni di euro evasi in Italia attraverso il mancato versamento della Preu, il prelievo erariale unico sugli apparecchi da intrattenimento, ovvero le macchinette per il gioco d’azzardo sulle quali l’imprenditore ha fondato il suo impero. L’accelerazione negli ultimi mesi: sono state le dichiarazioni rese da Laboccetta a permettere ai pm di ricostruire il ruolo di Fini, indagato per concorso in riciclaggio: nell’interrogatorio del 2 marzo  l’ex parlamentare del Pdl aveva tratteggiato la genesi del legame tra i vertici di Alleanza Nazionale e Corallo e poi i rapporti tra questi e l’ex presidente della Camera.

Fini, racconta Laboccetta, conosce Corallo durante una vacanza a St. Marteen nell’estate 2004, pagata dallo stesso Corallo. “I rapporti  – scrive il gip – si erano snodati all’inizio tra Corallo e Fini e solo successivamente essi avevano coinvolto i Tulliani”. Fini sapeva benissimo chi era Francesco Corallo “titolare di un’impresa eminentemente criminale“. Anzi: nella vicenda di Montecarlo l’ex vicepresidente della Camera aveva una “centralità progettuale e decisionale“, scrive il gip. Che ne tratteggia vividamente il ruolo: “Fini in questa intesa societaria conferiva la sua disponibilità del patrimonio del partito, così da limitare al massimo gli esborsi di Corallo, e, soprattutto, la sua posizione politica per garantire una tranquilla operatività ad Atlantis World Group of Companies Nv“.

Ancora: mentre “i Tulliani sarebbero stati gli intestatari formali”, Fini era “indispensabile”, garantiva un fortissimo supporto politico” e non aveva avuto “nessun imbarazzo a divenire socio del figlio di Gaetano Corallo; nessuna esitazione relativa alle voci correnti e radicate sui rapporti tra Gaetano Corallo e Nitto Santapaola“. L’inchiesta rovescia, quindi, la prospettiva attraverso la quale Fini aveva raccontato la storia fin dall’inizio: secondo il gip, quindi, la casa di Montecarlo non sarebbe stata acquistata dai Tulliani mentre l’ex ministro e vicepremier era distratto, ma il “negozio giuridico, realizzato alle condizioni concordate con Francesco Corallo ed i Tulliani, è stato deciso da Fini nella piena consapevolezza di tali condizioni”.

In cosa si era tradotto per Corallo il “fortissimo supporto politico” di Fini? Sotto al lente degli inquirenti sono finiti almeno tre interventi legislativi, culminati nel decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, che all’articolo 21 faceva slittare la gara per altre concessioni per il gioco d’azzardo per nove anni. Una manna per la Atlantis di Corallo, che al telefono esulta: “Ci hanno appena dato l’autorizzazione a stampare banconote (to print money)”. Tanta era la felicità e la gratitudine che il 24 novembre il ras delle slot tramite una sua offshore aveva girato un bonifico di 2,4 milioni in favore di Sergio Tulliani, padre di Elisabetta e Giancarlo, con la seguente causale: “d.l. nr. 78/2009“. Solo due mesi prima il decreto 39/2009, con il quale il governo Berlusconi si proponeva di finanziare la ricostruzione dell’Aquila distrutta dal terremoto del 6 aprile, aveva autorizzato una nuova ondata di slot machine. Una vicenda, la definisce il giudice, “dalle implicazioni inquietanti, il cui disvelamento pare, ad oggi, ancora solo embrionale, pur se foriero di imprevisti e piuttosto tumultuosi sviluppi”.

Tutti gli uomini del vicepresidente – Due anni prima prima di puntare a Fini, Corallo aveva iniziato a corteggiare i suoi uomini. “Quel che al giudice sembra emergere con chiarezza – si legge nell’ordinanza – è l’esistenza di rapporti correlati al bando Atlantis tra Fini, Urso, Lanna, Ferranti, Mariotti, Laboccetta, Corallo”. Che, racconta Laboccetta il 2 marzo, inizia sin dal 2002 chiedendo allo stesso ex deputato di incontrare il vice ministro al commercio estero Adolfo Urso per sbloccare “un incaglio” di rapporti tra il governo di St. Maarten e la Sace, una società pubblica controllata dallo Stato. E l’incontro si tiene proprio ai Caraibi dove in vacanza andrà anche Fini nel 2004 con altre tredici persone. Con Urso, che poi a verbale dirà di non ricordare chi aveva pagato due settimane di vacanza e di aver interrotto ogni rapporto con Corallo perché figlio di Gaetano Corallo considerato vicino a Nitto Santapaola, con l’avvocato Giancarlo Lanna (consigliere di amministrazione della Simest controllata della Sace) e le rispettive mogli. “Aggiungo che nel dicembre del 2002 venne approvata la legge 289 – dice l’ex deputato ai pm – una legge importante in materia di giochi”.

Due anni dopo Atlantis vincerà la gara e “tutta l’attività preparatoria”, secondo il verbale riportato in ordinanza, “fu seguita da Lanna. Quanto ad Adolfo Urso so che Francesco Corallo lo ha incontrato più volte per avermelo riferito lui stesso ma non ne conosco le ragioni”. Certo che è che si era creata “un’amicizia” sfociata nell’ospitalità a St Maarten per il Capodanno 2003 proprio poco dopo la l’approvazione della legge. Intanto Corallo tra il 2002 e il 2004 aveva creato la Rti (l’associazione temporanea di imprese). Secondo Laboccetta, in quel periodo, Fini gli chiese informazioni sull’isola e gli disse che voleva fare una vacanza. “Dopo aver ricostruito le vicende relative all’aggiudicazione della gara (avvenuta prima della vacanza, ndr) vista la presenza in tali vicende di uomini legati a Fini, posso dire che quel viaggio serviva a Fini proprio per creare un rapporto diretto con Francesco Corallo”. Tra una immersione e una gita in barca il vicepremier, secondo il racconto di Laboccetta, “si complimentò con Corallo per l’aggiudicazione della gara, gli disse che erano molto amico di Giorgio Tino, all’epoca direttore dei Monopoli e che per qualsiasi cosa si sarebbe potuto rivolgere al suo segretario particolare Proietti Cosimi e in quell’occasione sia Proietti Cosimi sia Fini si scambiarono con Corallo il numero di cellulare”. Laboccetta sostiene che di quella gara, nonostante fosse amico dell’imprenditore, non sapesse niente: “Invece Fini lo sapeva bene”.

Laboccetta aggiunge un altro particolare: il 30% della partecipazione all’associazione temporanea di imprese era in capo a BIT Media e PLP “che fanno capo a manager tra cui Ferruccio Ferranti che era l’amministratore delegato della Consip persona legatissima a Gianfranco Fini e nominato proprio da costui nel 2002”. Ferranti, scrive il gip nell’ordinanza, è stato anche componente del consiglio di amministrazione di Fare Futuro, fondazione controllata politicamente da Fini, il presidente era Urso e tra i sette componenti del cda c’erano sia Ferranti sia Lanna. Ma i rapporti si interruppero perché, sempre secondo il racconto dell’ex deputato, Corallo gli disse che Bit Media e Plp avrebbero voluto acquisire il controllo del raggruppamento liquidando la sua partecipazione, mentre il progetto di Corallo era il contrario, liquidare loro.

E così è accaduto: nel 2005 Corallo era padrone di tutto anche se erano iniziate contestualmente alcune difficoltà. Interrotti i rapporti con gli uomini del segretario di An Corallo “tenta di instaurare un rapporto diretto con Fini e la cosa si colloca nel 2005/2006 ossia in una fase in cui i Tulliani non esistevano né per Fini, né per Laboccetta o per Corallo”. Ed è così che Corallo si rivolge a Proietti Cosimi lamentando un atteggiamento ostruzionistico di Tino (Monopoli). E così, sempre a dire di Laboccetta, lui e Corallo si presentano alla Farnesina (all’epoca Fini era ministro degli Esteri). Dopo questa fase che il gip definisce di “difficoltà con le strutture istituzionali” segue una ripresa di contatti diretti ed è anche in questa fase che sopravvengono i Tulliani”.

Prima con la trattativa immobiliare che Giancarlo Tulliani, presentato da Fini a Corallo, avrebbe voluto mediare per un immobile dei costruttori Gianni che però non va a buon fine perché “l’immobile è fatiscente” e il “prezzo elevatissimo”. Poi con l’affaire di Montecarlo; prima Giancarlo Tulliani quindi la sorella Elisabetta e Fini fanno sapere di volere acquisire nel Principato una casa. Su cui una prima indagine si era conclusa in un nulla di penalmente rilevante, ma “l’accertamento sopravvenuto dei gravissimi fatti faceva apparire ex post minimalista l’ipotesi delittuosa per la quale il pubblico ministero di Roma aveva coltivato l’indagine concludendola con archiviazione”.

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