Finito il tour europeo del presidente americano, anche il Vaticano è in grado di fare un bilancio complessivo e meditato. Al di là del riavvicinamento diplomatico di Trump, che nella base di Sigonella si è detto onorato di aver incontrato papa Francesco e di aver pregato con lui per la pace, emerge con nettezza il fossato tra Santa Sede e Stati Uniti per quanto riguarda la visione geopolitica. È una diversità radicale di atteggiamenti, che non resterà limitata soltanto ai rapporti bilaterali, ma che – data la posizione internazionale di Francesco – è destinata ad esercitare un influsso, specialmente sull’opinione pubblica europea.

Si contrappongono due orizzonti politici e culturali. La diplomazia vaticana non nasconde il fatto che, a differenza dell’Europa, dove populisti e sovranisti sono stati sconfitti in Austria, Olanda e Francia, a Washington, invece il populismo ha vinto sotto lo slogan del puro egoismo nazionale: America first. Il frettoloso coinvolgimento della Nato nella coalizione anti-Isis “a guida americana”, avvenuto senza una pubblica discussione sulla strategia da seguire, lascia intendere in Trump iniziative viste in termini di sfera di influenza, marcate non solo dalla volontà di eliminare le centrali di terrorismo, ma di mettere con le spalle al muro anche l’Iran (si veda il discorso del presidente americano in Arabia saudita). Il che a sua volta non corrisponde alla strategia di Francia e Germania ed è certamente in contrasto con la visione di cooperazione internazionale appoggiata dalla Santa Sede, per cui Stati Uniti e Russia, Turchia, Iran e Arabia saudita devono agire congiuntamente e non concorrenzialmente per eliminare il Califfato e i suoi alleati.

Sul coinvolgimento Nato, bisogna aggiungere che lascia aperta la porta (ambiguamente) agli sviluppi più confusi. Si è cominciato col dire che l’impegno Nato non si concretizzerà nella partecipazione a “combattimenti”, poi si è lasciato trapelare che ci potrebbe essere un impegno di aerei da ricognizione. Di qui è molto breve il passo ad attività militari più dirette da parte di Paesi Nato sollecitati a fare i volonterosi. Sulla difesa dell’ambiente c’è poco da aggiungere. Trump ha in testa la revisione degli accordi di Parigi sul clima ed è evidente che non intende procedere a forti tagli alle emissioni già nel 2018 come previsto dal documento del 2015. La Laudato si’, l’enciclica verde di Francesco, non sarà fonte di ispirazione per la nuova amministrazione americana.

Sin dall’inizio del suo pontificato, con il viaggio a Lampedusa, Papa Bergoglio ha colto e proclamato il fenomeno delle migrazioni come questione epocale. Lo ha detto a Lesbo, è la “più grande catastrofe umanitaria” dopo la Seconda Guerra mondiale. L’America di Trump, al di là del contentino scritto a Taormina sulla necessità di una politica di “lungo termine”, non ha nessuna intenzione di affrontare il problema nei termini di un Piano Marshall internazionale. Una sola cosa le interessa e l’ha inchiodata nel comunicato finale del G7: il “diritto sovrano” degli Stati di controllare i propri confini e di agire in base ai propri interessi e alla sicurezza nazionale. È una visione angusta e repressiva del fenomeno, agli antipodi della posizione di Francesco.
Resta, infine, la politica sociale.

Non solo Francesco ma anche Giovanni Paolo II e lo stesso Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate hanno espresso con forza per decenni la necessità di una globalizzazione dal volto umano e di un superamento delle disuguaglianza in nome del “bene comune” nazionale e internazionale. I segnali provenienti da Oltreatlantico, dove l’ideologia economica di Goldman Sachs è la stella polare della presidenza, sono radicalmente opposti: 23 milioni di americani rimarranno senza copertura sanitaria con la modifica dell’Obamacare. I programmi di assistenza sociale subiranno a breve tagli per 274 miliardi di dollari come ha annunciato Mick Mulvaney, responsabile delle questioni di Bilancio alla Casa Bianca.

Nei prossimi dieci anni l’amministrazione Trump conta di togliere 192 miliardi ai programmi di buoni pasto, 800 miliardi all’assistenza sanitaria Medicaid. Altri 21 miliardi all’assistenza temporanea per famiglie indigenti con ulteriori tagli al credito fiscale per i figli. Esattamente l’opposto del superamento delle diseguaglianze sociali, a cui esorta Francesco nel suo documento Evangelii Gaudium donato a Trump.

Così Washington e il Vaticano diventano oggi simbolicamente due poli alternativi del modo di affrontare il caos attuale del pianeta.  Francesco propone una gestione multipolare delle crisi internazionali e una politica sociale, che integri gli esclusi e superi l’egoismo delle caste dominanti . Trump viene percepito come l’alfiere dell’egoismo nazionale e di un liberismo che alla fine dei conti premia più di tutti chi ha già patrimoni immensi.

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