La visita dei cambiamenti di rotta e delle prime volte. La prima di un presidente degli Stati Uniti al muro del pianto. La prima volta che il primo ministro israeliano “vede una speranza di cambiamento nel mondo arabo”. Ma anche l’occasione per sottolineare la storica inversione a U effettuata da Washington nei rapporti con l’Iran, dopo gli 8 anni di Barack Obama e l’accordo sul nucleare firmato da quest’ultimo con Teheran. Nella conferenza stampa congiunta a Gerusalemme, Benjamin Netanyahu e Donald Trump hanno fotografato il cambio di linea che le prime due tappe del viaggio del presidente degli Stati Uniti significheranno nella politica estera della Casa Bianca in Medio Oriente.

“Apprezziamo il cambiamento della politica americana nei confronti dell’Iran, la coraggiosa azione Usa contro le armi chimiche in Siria, e la riaffermazione del ruolo di leadership degli Usa in Medio Oriente – ha detto un Netanyahu particolarmente soddisfatto, riferendosi alle parole pronunciate da Trump domenica in Arabia Saudita, un appello a “tutte le nazioni” perché isolino l’Iran, un Paese che “dal Libano all’Iraq e allo Yemen” arma e addestra “i terroristi ed altri gruppi estremisti che diffondono distruzione e caos nella regione”. “Vogliamo lavorare insieme in particolare contro le aggressioni in queste regioni e per limitare le ambizioni militari dell’Iran di diventare uno Stato nucleare“, ha specificato il premier israeliano con un’allusione negativa alla precedente amministrazione Obama – per la prima volta nella mia vita, vedo una reale speranza per il cambiamento del mondo arabo verso Israele”.

Non solo: “Apprezzo che il presidente Trump sia stato oggi al muro del pianto, il primo presidente in carica. Chiedo un applauso”, ha tenuto a specificare Netanyahu. Finora i rappresentanti Usa e Ue avevano evitato questo itinerario per il significato politico che ha, dal momento che si trova a Gerusalemme Est, occupata da Israele nella Guerra dei sei giorni del 1967, annessa nel 1980 con la condanna dell’Onu e che i palestinesi rivendicano come capitale del loro futuro Stato. L’ex presidente Usa Barack Obama aveva visitato il Muro del pianto quando era ancora un candidato alle presidenziali e aveva evitato di farlo durante i suoi otto anni di mandato, mentre Bill Clinton lo fece dopo avere lasciato la Casa Bianca, e George H.W. Bush quando era ancora vice presidente. Negli stessi minuti sul sito della Casa Bianca si leggeva “Gerusalemme, Israele” nell’indicazione del luogo della conferenza stampa.

Da parte sua Trump ha puntato l’attenzione sul processo di pace con i palestinesi: “Credo in un rinnovato sforzo per raggiungere la pace tra israeliani e palestinesi. E’ uno dei compiti più duri ma sono sicuro che alla fine riuscirete a conseguire un risultato”, ha aggiunto il presidente Usa, evitando di fare riferimento alla soluzione dei due Stati che lui stesso aveva messo in discussione il 15 febbraio, giorno della visita di Netanyahu a Washington. Anzi, alla vigilia del viaggio una fonte dell’amministrazione aveva spiegato che Trump non sarebeb andato a Gerusalemme con un piano di pace predeterminato, “perché ritiene che il negoziato debbano farlo le parti. Non abbiamo sposato la soluzione dei due stati, ma neppure la escludiamo”.

Un’apertura che ha raccolto anche il plauso della parte opposta: l’Autorità nazionale palestinese elogia “l’impegno dichiarato del presidente degli Stati Uniti per raggiungere un accordo di pace” israelo-palestinese, ha sottolineato Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas. Per i palestinesi, un eventuale accordo di pace – sottolinea Abu Rudeina – “deve portare alla nascita di uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme Est”. Il portavoce ricorda quindi “l’importanza che assume l’incontro di martedì a Betlemme tra il presidente americano ed Abu Mazen”.

In mattinata Trump era tornato a indicare nell’Iran il nemico pubblico numero uno: “Usa e Israele possono dichiarare ad una voce che all’Iran non sarà mai, mai, mai concesso di avere un arma nucleare. L’Iran deve smettere di addestrare e finanziare i gruppi terroristici e le milizie”, aveva detto il presidente degli Stati Uniti durante l’incontro con il presidente israeliano Reuven Rivlin.

“C’è un profondo consenso nel mondo” su questo, “incluso nel mondo musulmano”. Riferendosi al suo viaggio a Ryad, Trump aveva spiegato: “Re Salman pensa in modo intenso e, posso dirvelo, gli piacerebbe molto vedere la pace tra israeliani e palestinesi”. “Molti leader musulmani – ha continuato – hanno espresso la loro determinazione nella volontà di aiutare a mettere fine al terrorismo e alla diffusione della radicalizzazione. C’è una crescente consapevolezza tra i vostri vicini arabi di avere una causa comune con voi su questa minaccia posta dall’Iran”.

Negli stessi minuti, Teheran aveva chiesto agli Stati Uniti di “smettere di fornire armi ai principali sponsor del terrorismo“, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Bahram Qasemi, in riferimento al contratto da 110 miliardi di dollari per la fornitura di armi all’Arabia Saudita, firmato dal capo della Casa Bianca al summit arabo-islamico-americano che si è svolto a Ryad.

In giornata anche Hassan Rohani aveva risposto al presidente degli Stati Uniti: “L’Iran non ha mai tentato di avere armi nucleari. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha verificato in diverse occasioni la natura pacifica del programma nucleare iraniano”, ha detto il presidente italiano in una conferenza stampa in cui, oltre a tutti i componenti del governo, era presente anche il capo dell’Organizzazione iraniana per l’energia atomica (Aeoi), Ali Akhbar Salehi. Non solo: “I nostri missili sono per la pace e per difesa. I rappresentanti americani dovrebbero sapere che quando abbiamo bisogno di testare tecnicamente un missile lo faremo e non aspetteremo il loro permesso”, ha detto Rohani.

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