“Il riconoscimento del fatto che il governo Monti ha sbagliato i conti c’è stato”, con le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, ed è stato “un elemento di giustizia“. A dirlo non è la sindaca pentastellata di Torino Chiara Appendino, che una settimana fa ha annunciato l’apertura di un contenzioso con Palazzo Chigi da cui rivendica 61 milioni, ma un ministro del governo Gentiloni: il titolare delle Infrastrutture Graziano Delrio. Secondo cui “ora per capire quale risarcimento potrà esserci bisognerà che si siedano e trovino un accordo”. L’esecutivo, dunque, si spacca: neanche 24 ore prima la sottosegretaria Maria Elena Boschi aveva infatti negato che quei soldi siano dovuti, sostenendo al contrario che il capoluogo piemontese “come altri comuni, ha in qualche modo ottenuto le risorse dovute attraverso un accordo con l’Anci. Ma Delrio, che proprio nelle vesti di presidente Anci nel gennaio 2013 presentò ricorso al Tar contro i tagli imposti agli enti locali dall’esecutivo di Mario Monti con il decreto salva Italia, non intende smentirsi.

E la disfida sui fondi divide anche il Pd, con Piero Fassino – che sostiene Matteo Renzi nella corsa a un nuovo mandato da segretario – schierato con Appendino visto che è stato lui, da primo cittadino del capoluogo piemontese, a presentare un analogo ricorso alla giustizia amministrativa. “Due sentenze, del Tar e del Consiglio di Stato, attestano che lo Stato ha trattenuto indebitamente introiti fiscali che erano della città di Torino”, dice a ilfattoquotidiano.it. “L’unico dubbio è su quale sia l’ammontare che il governo deve restituire, perché le sentenze non lo quantificano. La cifra massima è stata stimata dall’amministrazione comunale, a fine 2015, in 61 milioni: ora bisogna trattare, come ha fatto con successo il Comune di Lecce, e arrivare a un punto di intesa”.

L’oggetto del contendere è il ricco piatto costituito dagli introiti delle tasse sugli immobili. Il ricorso presentato dal Comune di Torino nel dicembre 2012, con la firma del sindaco Fassino, riguardava infatti le modalità con cui il governo tecnico di Monti ha fatto i calcoli sui fondi da riconoscere agli enti locali per compensarli del minore gettito per le loro casse causato dal passaggio dall’Ici all’Imu. La differenza cruciale è che l’Ici finiva tutta nelle casse comunali, mentre l’Imu, la cui entrata in vigore fu anticipata da Monti di due anni per rimpinguare i conti pubblici, va per metà allo Stato (con l’eccezione di quella sulle prime case abolita però da Renzi).

Ai sindaci era stata assicurata la “invarianza di gettito”, anche attraverso una camera di compensazione chiamata Fondo sperimentale di riequilibrio. Ma alla prova dei fatti i Comuni ci hanno perso: il ministero del Tesoro ha infatti sottostimato l’Ici (il cui gettito è stato stimato invece che usare i consuntivi 2010, non ancora tutti disponibili) e sovrastimato l’Imu, calcolata tenendo conto di voci in parte inattendibili. Come le tasse dovute dagli immobili “fantasma”, cioè quelli sconosciuti al fisco, la cui esistenza e relativa rendita catastale è solo presunta. Non solo: il ricorso di Torino lamentava anche altre iniquità, come il fatto che nel calcolare il gettito Imu spettante ai Comuni si sia erroneamente considerato anche il gettito in teoria dovuto per gli immobili di proprietà del Comune e destinati a compiti istituzionali, gettito che però è solo figurativo. Morale: i sindaci si sono visti ridurre i fondi in modo ingiustificato. Il fondo di perequazione Ici-Imu, istituito nel 2013 e rifinanziato ogni anno, ha rimediato solo in parte. Così si è arrivati alle carte bollate.

Il 3 novembre 2015 il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di presidenza del Consiglio dei ministri, ministero dell’Economia e ministero dell’Interno contro la sentenza del Tar Lazio che nel maggio 2014 aveva accolto in parte il contenuto dei ricorsi del Comune riconoscendo che nel 2012 il Tesoro agì in modo da “allineare le risorse da assegnare ai Comuni con le risorse disponibili sul Fondo sperimentale di riequilibrio”. In modo, insomma, da non dover stanziare risorse aggiuntive. I giudici amministrativi, che notano tra l’altro come tutto questo abbia “inciso sulle politiche di spesa del Comune”, hanno quindi disposto “l‘annullamento delle note metodologiche” emanate sulla base del salva Italia dal governo Monti e da quello di Enrico Letta e “dei provvedimenti con i quali sono state disposte le conseguenti variazioni nelle assegnazioni a valere sul Fondo sperimentale di riequilibrio”. E hanno intimato ai ministeri di “rideterminare le necessarie compensazioni e variazioni nelle assegnazioni da federalismo municipale per l’anno 2012″, oltre a “effettuare i conseguenti conguagli rispetto alle somme già assegnate”. Non c’è dunque, nella sentenza, la quantificazione del dovuto, anche se il Comune aveva valutato la perdita in 21,1 milioni di euro per il solo 2012. Sono i ministeri, secondo i giudici, a dover fare il calcolo. Ed è per ottenere il rispetto di questa sentenza che la Appendino (secondo cui la cifra dovuta ammonta ora a 61 milioni) ha deciso il 24 marzo di ricorrere di nuovo al Consiglio di Stato.

Il consigliere economico di Palazzo Chigi, Luigi Marattin, in una nota pubblicata dal sito di informazione locale Lo Spiffero ha spiegato la posizione ufficiale del governo. Che non è, evidentemente, quella di Delrio. Dopo aver difeso l’operato dei tecnici del Tesoro, che nel 2012 “furono costretti a riempire il database con delle tecniche di approssimazione, delle stime, delle operazioni integrative“, Marattin ammette che Tar e Consiglio di Stato “hanno riconosciuto che si fecero prendere troppo la mano“. Ma “le sentenze, si sa, si rispettano e basta”. E l’esecutivo ritiene di averlo fatto con un Dpcm firmato un mese fa da Paolo Gentiloni, che ha distribuito i fondi (“288 milioni“) stanziati per questo fine nell’ultima legge di Bilancio di Renzi. Marattin fa riferimento all’accordo sulla ripartizione del maxi fondo per gli enti locali raggiunto il 23 febbraio con l’Anci, vincitore a sua volta del ricorso presentato al Tar e su cui nel 2015 si è espresso in appello il Consiglio di Stato. Torino, però, come riconosciuto anche dal nuovo presidente Anci Antonio De Caro in un’intervista a La Stampa, è un caso a sé perché quello che ancora oggi contesta è la sottostima dell’Ici 2010, mentre “non rientra tra i comuni penalizzati dalle operazioni integrative” messe in atto da via XX Settembre.

Insomma, “quello che il Governo doveva fare su questa vicenda, lo ha già fatto”, anche se “il confronto con il comune di Torino è e rimarrà sempre aperto”. Appendino, forte del sostegno di Delrio, si dice “pronta a sedersi a un tavolo per risolvere la questione”. Secondo Fassino ci sono già stati diversi incontri al Tesoro e alla fine l’intesa si troverà.

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