La scorsa primavera Matteo Renzi provò a metterlo al vertice dell’Aisi, i servizi segreti interni, senza riuscirci. Finora il suo nome è rimasto in filigrana, tra le pieghe delle migliaia di pagine alla base dell’indagine. Di Emanuele Saltalamacchia, nodo di primaria importanza in quella rete di personaggi delle istituzioni legati all’ex premier nella sua Toscana, si è parlato poco. Eppure il comandante dei carabinieri della Legione Toscana è uno dei fulcri sui quali i pm di Napoli hanno imperniato l’inchiesta Consip. E giorno dopo giorno sul generale emergono nuovi elementi.

Saltalamacchia è indagato per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento in compagnia di Luca Lotti e del comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette. Il generale della brigata d’Arma viene tirato in ballo da Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip, che il 19 dicembre aveva rivelato ai pm Henry John Woodcock, Celeste Carrano ed Enrica Parascandolo tutti i nomi di quelli che gli riferirono dell’esistenza dell’inchiesta, facendo in modo che l’ad potesse bonificare i suoi uffici dalle cimici piazzate dalla procura di Napoli: il ministro dello Sport, Filippo Vannoni (amico di Matteo Renzi e presidente della municipalizzata delle acque di Firenze e dei comuni toscani, Publiacqua, ndr), Del Sette e, appunto, Emanuele Saltalamacchia.

Gli inquirenti hanno in mano le parole di Marroni, sentito come teste e non indagato. Parole fino a oggi, a quanto è dato sapere, in attesa di riscontro. Ma tra le carte pubblicate dai quotidiani ora emerge un nuovo elemento. Durante una grigliata tra amici in casa Renzi senior alla fine di ottobre 2016, scrive il quotidiano La Verità, il generale Saltalamacchia avrebbe dato un consiglio preciso al padrone di casa. Tra un piatto e l’altro, davanti alla tavola imbandita cui sedevano diversi notabili del luogo (Daniele Lorenzini, sindaco di Rignano, Andrea Conticini, genero di Renzi senior indagato a Firenze per riciclaggio, e Massimo Mattei, ex assessore del Comune di Firenze) e a portata delle microspie piazzate dai carabinieri del Noe, Saltalamacchia avrebbe suggerito a Tiziano: “Non parlare con Alfredo Romeo“.

Un’indicazione che apre una serie di scenari e fa nascere nuovi interrogativi, anche in relazione a un altro episodio che emerge dagli atti e che ha come protagonista il padre dell’ex presidente del Consiglio. Il 7 dicembre, infatti, Roberto Bargilli, autista del camper sul quale Matteo Renzi girava l’Italia al tempo delle primarie del Pd, chiama Carlo Russo, il faccendiere di Scandicci protagonista dell’inchiesta, e lo avvisa: “Scusami, ti telefonavo per conto di babbo – dice, intercettato – mi ha detto di dirti di non chiamarlo e di non mandargli messaggi”. “Babbo” Renzi, quindi, sa di essere intercettato e le operazioni sul suo telefono erano state disposte solo due giorni prima, il 5 dicembre. Il primo quesito: da chi viene avvisato Tiziano Renzi? A pagina 675 dell’informativa inviata ai pm e pubblicata sempre da La Verità, gli inquirenti annotano: “La domanda più ovvia da farsi è quella relativa ai motivi per cui una persona come Renzi Tiziano venga avvisato di essere intercettato ma la risposta, altrettanto scontata, appare solo una, ovvero che il figlio Matteo Renzi, presidente del Consiglio pro tempore, abbia messo in campo tutte le risorse disponibili per tutelare la sua famiglia e quindi anche il padre che, da una ricerca su fonti aperte sul web, è da considerarsi sicuramente un personaggio con diversi trascorsi singolari“.

La seconda domanda: chi è Emanuele Saltalamacchia? Le cronache lo vedono al comando della “compagnia Vomero” a Napoli negli anni ’80 con i gradi di tenente,  e poi nei primi anni 2000 guida il gruppo di Castello di Cisterna, nel napoletano. Dall’ottobre 2008 al settembre 2012 – con Renzi astro nascente della politica nazionale – è comandante provinciale a Firenze (Renzi guida la Provincia dal 2004 al 2009), prima di essere spostato al Comando Generale di Roma alla guida del quinto reparto Relazioni Esterne in qualità di generale di brigata. Eoliano di nascita, 60 anni, dal 5 novembre 2014 viene messo alla testa degli oltre 5mila uomini dell’Arma in Toscana. La scorsa primavera il suo nome è il primo della lista stilata da Renzi per la direzione dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna. Sorge un problema, come scriveva il Fatto Quotidiano: Saltalamacchia è un generale di brigata e secondo la legge il capo dell’Aisi dovrebbe essere un generale di Corpo d’armata. Così il governo, che a Saltalamacchia non vuole rinunciare, pensa a un’altra soluzione: farlo prefetto. A quel punto, però, nasce un altro intoppo: in quel caso si sarebbe trovato a dirigere un suo superiore come l’allora numero due dell’Aisi, Mario Parente, ex capo del Ros dei Carabinieri e generale di Divisione. Allora si pensa alla mediazione: un ticket di due anni – Parente al vertice, Saltalamacchia vice – in attesa di andare a occupare la poltrona più alta all’Aise, Agenzia informazioni e sicurezza esterna, ovvero per l’estero. Niente da fare, gli ostacoli sono troppi, così il 29 aprile Renzi ufficializza la nomina di Parente.

Altri dubbi sorgono rileggendo ex post uno dei provvedimenti più discussi adottati dal governo lo scorso anno. A fine estate l’esecutivo approvò una norma che obbliga gli ufficiali di polizia giudiziaria a riferire ai loro superiori i contenuti delle indagini segrete. E’ il decreto legislativo n. 177 del 19 agosto 2016 che impone l’assorbimento della Forestale nell’Arma dei carabinieri. Il quinto comma dell’articolo 18 prevede che “il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale”. Una normativa simile toccava già i carabinieri, che sono già sottoposti al Testo unico dell’ordinamento militare del 2010, ma il dlgs 177 estende l’obbligo anche alla Guardia di Finanza che è stata impegnata nell’indagine su Consip a Napoli. Immediatamente si levavano le critiche di chi denunciava come un’inchiesta in grado di mettere in imbarazzo un ministro, un parlamentare o un amministratore locale, avrebbe potuto risalire le gerarchie e sarebbe potuta arrivare sul tavolo della politica prima che fosse stata resa nota all’interessato. Casualmente a Luigi Marroni le prime notizie vengono date da Lotti a luglio, mentre le altre soffiate proseguono almeno fino a dicembre.

Ora la Procura di Roma ha deciso di muoversi e, a seguito di ripetute violazioni del segreto istruttorio riguardanti l’inchiesta, ha avviato una serie di procedimenti, per il momento contro ignoti. Nel mirino degli inquirenti, quei pubblici ufficiali che hanno avuto a che fare con l’inchiesta e che dovessero risultare responsabili della fuga di notizie. Proprio ieri piazzale Clodio ha revocato ai carabinieri del Noe la delega per ulteriori indagini.

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