In questa ipotetica scissione del Pd ci sono due livelli.

Il primo è sostanziale: i contenuti attorno ai quali degli individui convergono fino a diventare una formazione (partitica) vanno verificati e ridiscussi profondamente e accuratamente, altrimenti decade la ragione dello stare insieme. Quindi dire che la scissione dipende dal calendario è un’interpretazione della realtà completamente viziata: se bisogna ridiscutere l’anima stessa di un partito, dove debba collocarsi nel quadro storico attuale, se la pluralità di soggetti che lo compone abbia ancora modo di coesistere sotto lo stesso tetto serve del tempo, bisogna che le riflessioni abbiano un minimo di respiro; non è possibile ragionare con la clessidra come se fosse una mano di Taboo.

La visione elementare della politica, la semplificazione all’osso del ragionamento e il virtuosismo della velocità non hanno portato grandi risultati in quest’ultima tranche politica, quindi sarebbe auspicabile deporre gli orologi e predisporsi ad un confronto degno di questo nome. Per fare questo bisognerebbe accantonare anche la convinzione che tutti quelli che non condividono la linea attuale siano degli avversari da sfidare a duello pubblicamente affinché le loro velleità di dissenso vengano piegate.

Questi ‘avversari‘ sono proprio le persone con cui invece è necessario ragionare, perché la scissione non è l’uomo nero, né il Mostro di Lochness, non arriva con il buio appena la mamma chiude la porta, è semplicemente l’estrema ratio di una comunicazione che non si trova: come dire, parafrasando Shakespeare, la scissione è fatta della stessa materia di cui è fatto il solipsismo. Smontare l’oppositore in tempi rapidi per cominciare subito la conta e stabilire chi comanda, è un po’ come voler iniziare una terapia di coppia con lo scopo di riportare il coniuge a casa per le orecchie dopo una decina di minuti dall’inizio della seduta e con l’avallo del terapeuta.

La terapia richiede un suo tempo e non è nemmeno detto che riesca, ma se si vuol provare bisogna che venga presa con estrema serietà, valutando l’idea di uscirne diversi, meno sicuri del proprio punto di vista, magari consapevoli di aver commesso un’infinità di errori. Se il tempo, interno ed esterno, per la terapia non c’è, l’unica soluzione che garantisce tempi rapidissimi è la scissione, che in epoca di divorzio breve, tra l’altro, suona anche molto moderna.

Il secondo livello è mirabilmente illustrato nello sfogo di Delrio: “Matteo non ha fatto neanche una telefonata, su… come cazzo fai in una situazione del genere a non fare una telefonata?”.

 

 

L’altro motore di questa scissione è un’arroganza brada lasciata a galoppare al pascolo, senza l’ombra di staccionate all’orizzonte. Nel momento in cui si ha un tale sprezzo dell’altro da non poterlo nemmeno chiamare al telefono vuol dire che la tracotanza dell’uomo ha prevalso sulle ragioni politiche, che i rancori personali hanno obnubilato qualunque lucidità: il paradosso di una sinistra che mentre si disumanizza politicamente è sempre più ostaggio delle irrilevanti ragioni dell’uomo inteso come singolo.

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