di Francesca Scoleri 

“Da magistrato, provo una sensazione sgradevole di impotenza e sostanziale ingiustizia, nel momento in cui posso applicare o richiedere una pena detentiva più severa a chi ha rubato una bicicletta rispetto a chi ha contribuito a truccare o ha truccato una gara d’appalto di milioni di euro”. Con queste parole, Nino Di Matteo riassume – a mio avviso in modo magistrale – lo spirito che ha mosso l’organizzazione dell’evento svoltosi lunedì, presso la Suprema Corte di Cassazione, per volontà delle associazioni Themis & Metis e Aiga Roma, dal titolo “Condannati all’impunità” e che lo ha visto fra i relatori.

All’incontro era stato invitato anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando che, pur avendo mostrato interesse, non ha mai confermato la sua presenza ma nemmeno la sua assenza. Al ministro avremmo voluto dire che non solo le associazioni promotrici del dibattito nutrono grossi dubbi sul contrasto legislativo alle piaghe ampiamente citate durante l’incontro sotto il termine “corruzione”. Il Presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, ha dichiarato più volte nell’arco dell’anno appena trascorso che “i politici a parole sono tutti d’accordo sui rimedi, ma poi i provvedimenti per far funzionare i processi non li approvano”. A Davigo fa eco il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, affermando che: “Le mafie mandano in Parlamento e nelle istituzioni i loro uomini, le loro proiezioni”. Se sono figure così autorevoli a dirlo, qualche dubbio che non stiamo pensando cose del tutto errate ci viene.

Condannati all’impunità, chi sono? Tutti quei soggetti che, a fronte di comportamenti criminali all’interno della pubblica amministrazione, producono danni economici e sociali di cui non dovranno mai rendere conto grazie all’aiuto di altri soggetti che (vorrei indicare con un “non ben definiti” ma appaiono sempre più spesso “ben definiti”) hanno interesse a non far funzionare la giustizia e a tenerla lontana dal “diritto”.

Ci sono amministratori pubblici che collezionano poker dei reati: corruzione, concussione, abuso d’ufficio e turbativa d’asta, reati che, lo ha ricordato anche Di Matteo, introducono frequentemente i mafiosi all’interno della pubblica amministrazione di cui poi prendono il controllo.

Fino ad oggi la politica non si è minimamente posta il problema di allontanare i soggetti in questione ma anzi si è mostrata sempre più garantista nell’attesa dell’ormai famigerato “terzo grado di giudizio”. Un passo avanti nel contrasto a questi meccanismi potrebbe essere il codice etico adottato dal M5S. Lo pensa il magistrato Nino Di Matteo che dichiara: “E’ un importante e positivo segnale di svolta” perché “consente, e in alcuni casi impone, l’attivazione di meccanismi di responsabilità politica”. Aggiunge a riguardo che le polemiche innescate intorno al M5S e alle sue rinnovate regole sono state eccessive e fuori luogo.

Fra i relatori, voci poco allineate fra loro e analisi approfondite da parte del vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia, Claudio Fava, del vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, e ancora del presidente Adusbef, Elio Lannutti, Alessandro Massari della direzione dei Radicali Italiani, il pm Henry John Woodcock, la deputata Giulia Sarti e il presidente della giunta capitolina Enrico Stefano, che ha portato i saluti e un messaggio della sindaca Virginia Raggi.

Qui i video dell’evento

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