Al cinema, nel film “I dieci comandamenti” di Cecil B. De Mille, ha la pelle chiarissima di Anne Baxter. Probabilmente una trasposizione, se si guarda al ciclo pittorico che decora la sua tomba ipogea, dove l’incarnato è bruno. Ma si tratta di poca cosa, forse. Di un elemento secondario per “la sovrana di tutte le terre”, esatto analogo femminile dell’appellativo “sovrano di tutte le terre” riservato al faraone. Nefertari, moglie reale del faraone Ramses II, ma anche la più importante delle otto mogli, è stata una delle regine più influenti dell’antico Egitto. Una delle figure preminenti della politica egizia. Attualizzando, un’autentica guest star dell’antichità, della quale ora si sarebbero scoperti resti in una mummia, in una teca del Museo Egizio.

“Non c’è stata la possibilità di fare il test del Dna perché non abbiamo il corredo genetico di nessuno dei suoi parenti più stretti, ma 14 caratteristiche su 16 ci confermano che si tratta di Nefertari”, ha spiegato Raffaella Bianucci, ricercatrice della sezione di Medicina Legale dell’Università di Torino e dell’ateneo di Warwick in Gran Bretagna. Quelle gambe mummificate sarebbero della moglie di Ramses II. La tesi documentata in un articolo pubblicato pochi giorni fa nella rivista scientifica “Plos one”.

“L’analisi è stata fatta direttamente al museo prima che l’allestimento fosse cambiato. Abbiamo preso in esame molti parametri e, anche se la certezza assoluta non può esserci, siamo convinti si tratti di Nefertari”, racconta Bianucci. Già, “l’allestimento”. Perché proprio in queste settimane, e fino all’aprile 2017, il corredo funerario e parte del sarcofago di Nefertari sono in Olanda, al Rjiksmuseum di Leiden, dove è stata allestita una mostra temporanea con i reperti del museo Egizio, dedicata proprio alle mogli dei faraoni. Nessuna incertezza, insomma. D’altra parte la tomba della regina,  già al momento della scoperta nel 1904, era apparsa saccheggiata. Il sarcofago in granito rosa, frantumato. Il corredo funerario, incompleto.

Una bella notizia, in ogni caso. Per il grande pubblico, naturalmente, onnivoro consumatore di novità. Attratto da suggestive identificazioni. Ma anche per il mondo scientifico. Ma, a prescindere da quel che potrà essere, rimane un dato incontrovertibile. I musei, piccoli e grandi che siano, non sono mai spazi immobili. I materiali esposti e quelli conservati nei depositi possono offrire nuove informazioni. Per questo lo scavo archeologico deve iniziare da lì.

Copyright: © 2016 Habicht et al.
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