Prima di cadere nella trappola del derby Italia-Bruxelles (derby è la parola stupida usata da Renzi quando si tratta di scelte politiche), prima di lasciarsi manipolare da discorsi retorici sulle spese per l’immigrazione, la ricostruzione delle zone terremotate e la cura delle scuole, è bene riflettere a mente fredda su cosa ci dice la smusata di Juncker sul ruolo dell’Italia all’estero.

La scena internazionale è un’arena implacabile. Non valgono le interviste televisive compiacenti, non valgono i titoli sparati sui giornali amici, non valgono i tweet e le battutine. Sulla scena internazionale le regole sono quelle dure dei processi nei telefilm americani: contano solo i fatti, hard facts dicono negli Usa, fatti corposi. E se uno perde il beneficio del dubbio, perché si presenta come troppo furbetto, è finita.

Il succo della polemica tra il governo italiano e la Commissione europea sta nel fatto che a Bruxelles, ma anche – si badi – in gran parte dei Paesi europei, si comincia a guardare a Renzi come a un magliaro. Che sul bilancio spara cifre che non tornano. Perché troppe sono le una tantum inventate per far quadrare apparentemente i conti. Troppe le mance e i condoni inseriti nella legge di Stabilità. Troppo ridicolo il divario tra la somma di flessibilità richiesta e le somme effettivamente stanziate per immigrazione e terremoto.

Dunque in ballo non sono uno 0,1-0,2 per cento di sforamento delle regole in più o in meno. Ma la perdita di credibilità dell’Italia. E qui bisogna fare un passo indietro, tornando al vertice europeo di Bratislava. Fu un vertice deludente sia riguardo a un nuovo approccio della Ue relativamente al rilancio dell’economia sia riguardo alla responsabilità di tutti i paesi europei verso i migranti: non si arrivò a sancire la quota fissa obbligatoria di accoglienza. Renzi denunciò l’inconcludenza del vertice e non partecipò alla conferenza finale di Hollande e Merkel.

E qui entra in gioco il modo e l’efficacia con cui un governo agisce sulla scena internazionale. A Bratislava il brutto documento finale fu firmato da tutti i paesi partecipanti, Italia inclusa, Renzi presente. In questi casi si procede per “assenso”. Renzi non si alzò per dire “non sono d’accordo”. Stette zitto. E non convocò nemmeno una conferenza stampa con la partecipazione dei media internazionali. Andò a sfogarsi con i giornalisti italiani (Hollande e Merkel peraltro non lo avevano mai invitato alla conferenza stampa finale).

Ma sulla scena internazionale questi giochetti vengono registrati. Chi tace nell’arena e poi fa il galletto dietro le quinte non viene preso sul serio. E non viene nemmeno preso sul serio un governo che, nel chiuso delle stanze che contano, negozia pazientemente e garbatamente tramite il ministro Padoan, mentre il premier Renzi sulle piazze mediatiche si scaglia contro gli ottusi burocrati di Bruxelles.

Il “me ne frego” di Juncker non ha niente a che fare con il motto mussoliniano. Piuttosto assomiglia a un’esclamazione di Montalbano quando si trova di fronte agli sproloqui di un avvocato imbroglioncello.

Conclusione nr.1 – Lo schiaffo di Bruxelles è un vero schiaffo e quel che è peggio è che è silenziosamente condiviso da molti paesi europei.

Conclusione nr.2 – Non esiste nessun triumvirato europeo, di cui faccia parte l’Italia insieme alla Germania e alla Francia. L’Italia di Renzi – che secondo lo slogan doveva “cambiare verso all’Europa” – non riesce ad essere un protagonista di peso nell’Unione europea come è stata per decenni.

Conclusione nr.3 – Non va meglio nel Mediterraneo. Nello scenario libico, dove un anno fa il governo Renzi gonfiava i muscoli mediatici e ambiva addirittura a guidare una forza di intervento (le dichiarazioni sono tutte implacabilmente registrate in rete), l’Italia va a rimorchio di Francia, Inghilterra, Stati Uniti ed Egitto.

Conclusione nr.4 – La più amara. Ogni due anni si rinnova per elezione il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – a parte i cinque membri permanenti Usa, Russia, Cina, Francia, Inghilterra – e dal dopoguerra a oggi l’Italia è sempre stata eletta (su base continentale) a pieni voti. Per ben sei volte nei decenni passati l’Italia ha occupato un seggio per un biennio nel Consiglio di sicurezza. Con tutti i tipi di governi. (Per gli amanti della precisione: nei bienni 1959-60; 1971-72; 1975-76; 1987-88; 1995-96; 2007-2008).

Quest’anno non ce l’ha fatta. Nel terzo anno di grazia del governo mirabile, che “in Europa non va con il cappello in mano”, l’Italia non ha avuto i voti della maggioranza dei paesi europei. Li ha avuti la Svezia e rischiava di averli l’Olanda. Allora il governo Renzi si è accontentato di fare “alli mezzi”, come si dice a Roma, con i Paesi Bassi. Staranno un anno per uno nel Consiglio di sicurezza. Un successo di prestigio di cui essere veramente orgogliosi. Come si diceva, l’arena internazionale non perdona.

Articolo Precedente

Manovra, Juncker: “Italia dice che siamo per l’austerity? Me ne frego”. E su sisma e migranti l’Ufficio bilancio gli dà ragione

next
Articolo Successivo

Brexit in chiaroscuro: paure e speranze degli europei d’Inghilterra

next