Ma chi è poi Luigi Di Maio?
Non solo Virginia Raggi. Leggi il curriculum della figura più in vista del Movimento Cinque Stelle e ti trovi davanti titoli simili a quelli di migliaia di ragazzi che in Italia magari annaspano per trovare un lavoro precario. Ma Di Maio è indicato come possibile candidato primo ministro.
E allora ti viene di nuovo quella domanda che hai fatto tante volte a Beppe Grillo e ai vertici M5S. Quell’incognita che può segnare la vera novità o la rovina del Movimento: la scelta della nuova classe dirigente.

Un impegno da far tremare i polsi perché mettere insieme persone in grado di guidare un Paese e città da milioni di abitanti in pochi anni è la vera sfida.
Così ti ricordi quel dubbio che tante volte hai manifestato: una cosa è trovare figure nuove, altra – ben diversa – indicare persone che non hanno alcun titolo particolare. Giusto, magari, evitare chi ha già esperienza politica. Ma che dire di chi nella sua vita ha dato prova di capacità dirigenziali, di cultura, di coraggio civile, di coerenza?
Essere nuovi è una questione anagrafica, ma non sempre. A volte ci vuole una vita per dimostrare davvero di essere nuovi.
Ben diverso è scegliere chi abbia un curriculum imbarazzante da chi abbia invece un curriculum ricco.
A volte è venuto il dubbio che il Movimento Cinque Stelle si sia affidato a persone senza esperienza non solo per desiderio di novità, ma anche per evitare figure ingombranti, che avrebbero rischiato di fare ombra ai direttori.

Non solo: affidare il cambiamento a persone che non sono in grado di rappresentarlo, che paiono subito impelagarsi in giochi di potere, rischia di portare alla rovina il Movimento. Ma, ancora più grave, potrebbe escludere ancora una volta – esattamente come hanno fatto gli altri partiti – chi avrebbe davvero i titoli per farlo.
Il M5S premiando la fedeltà rischia di creare una propria nomenclatura emarginando la società civile. Lo stesso errore che deve combattere.

Il Movimento Cinque Stelle ha indubbiamente portato nella politica italiana ideali nuovi o dimenticati: la lotta alla corruzione, la battaglia contro lo strapotere della finanza, la difesa della Costituzione, la tutela dell’ambiente. È stato capace di proporre una visione diversa – giusta o sbagliata che sia – del futuro della politica, rimettendo tutto in discussione.
Ma ora deve mettere in pratica le idee. Gli ideali. Ed eccoci alla prova del fuoco: amministrare, avere il potere. Che cambia le persone, ne rivela lati sconosciuti (talvolta a loro stesse), esalta capacità, ma mostra anche debolezze e miserie.

Amministrare Roma è uno dei compiti più difficili che si possano immaginare. Forse perfino più che governare un Paese. Ma una persona come Virginia Raggi, con il suo curriculum, le sue frequentazioni, la sua personalità è in grado di farlo? È vero che Virginia Raggi ha contro il ventre molle del potere romano. Interessi immensi. Ma ha esordito nel peggiore dei modi: compiendo scelte sbagliate, mostrando di non essersi smarcata da certi ambienti che per primi doveva contrastare. Soprattutto tacendo la verità (ognuno valuti se sia molto diverso dal mentire).

È la persona giusta? Troppo tardi per chiederselo. Ormai il suo destino si tira dietro quello del Movimento. Ma certo non si deve accettare Raggi come si è accettato Matteo Renzi: o ci teniamo loro oppure è il disastro.

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