Strano Paese l’Italia. Un vignettista fa satira su un ministro donna e si scatena l’ira delle più alte cariche dello Stato. Vari presidi, per decidere se assumere o meno una professoressa, le chiedono se ha intenzione di avere figli o se è incinta e l’unica a intervenire è il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini che si limita a definire “grave” tale atteggiamento promettendo “un approfondimento agli uffici scolastici regionali”.

Ora che i buoi sono scappati ci si affretta a chiudere la stalla. Detta fuor di metafora ora che la scuola italiana è stata trasformata da questo governo in un’azienda privata senza le professionalità della stessa, cosa ci si poteva aspettare?

Sia chiaro, chi scrive ha più volte detto che è a favore di un’assunzione dettata non di una graduatoria dove si entra in classe senza essere mai stati guardati negli occhi da nessuno. Tuttavia affidare a una sola persona, il dirigente scolastico, la decisione di assumere o meno un docente, non poteva che essere rischioso. Quel ruolo andava assegnato ad una figura “esterna”, a chi non ha interessi di parte, a chi non ha la preoccupazione di amministrare un istituto, a chi non è diventato capo di una scuola solo perché ha deciso di fare carriera. Con chiarezza va detto che i presidi hanno la giacca tirata da tutte le parti e spesso si trovano a gestire una situazione complessa dove la docente X, in gravidanza, va in maternità e in classe arriva una supplente dopo settimane.

Nelle aziende le chiamate sono “dirette” e “per competenze” ma a scegliere gli individui nelle società serie sono i responsabili delle risorse umane: donne o uomini preparati ad hoc a fare questo mestiere.

Certo non sono così stolto da non sapere che le discriminazioni nei confronti delle donne avvengono anche nel privato: secondo i dati del Centro Donna il 30% dei casi avvengono nel settore dei servizi; il 17% nell’industria; il 22% nel commercio ma il 10% anche nella pubblica amministrazione.

Non possiamo permetterci che proprio dalla scuola arrivi questo messaggio di discriminazione. La prima legge sulla maternità è del 1971: chi in questi giorni sta facendo la chiamata diretta dovrebbe avere sulla sua scrivania non solo la 107 ma anche la Legge 1204 del 71, il Dpr 25/11/76, la Legge 53/2000 denominata “Disposizioni per il sostegno alla maternità e alla paternità, per il diritto alla cura e alla formazione” oltre ad appendere nel suo ufficio l’opera di Gino Severini, “Madre che allatta.

Finché in Italia vi sarà anche un solo dirigente scolastico che offende e discrimina una donna costringendola a non riconoscere nella maternità un valore ma un ostacolo e un limite ai suoi diritti di persona, potremo considerare il nostro Paese arcaico.

E con buona pace della presidente della Camera Laura Boldrini, non è una questione di femminismo o maschilismo, perché a fare quella domanda potrebbe essere stato anche un dirigente di sesso femminile che al posto di valutare le competenze della candidata si è preoccupato di calpestare un valore.

Un ultimo augurio: in Svezia un ministro dell’Istruzione viene fermato in stato di ebrezza e si dimette; in Italia un o una dirigente discriminano una donna e si annuncia un approfondimento. Poi tutto passa, la polemica si spegne e chissà che accade a quel preside. Da giornalista prendo un impegno con i lettori di questo blog: chiederò al ministero l’esito di questo approfondimento al fine di informarvi.

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