L’Italicum nasce e già non si sa se e quanto resterà in vita. La legge elettorale entra in vigore tra poche ore, alla mezzanotte del primo luglio, ma le elezioni amministrative vinte dal M5s e perse dal Pd (con una dose di piacere del centrodestra) hanno avuto l’effetto del tasto rewind. Ricomincia daccapo tutta la discussione su quote, premi, preferenze eccetera. Come se i tre passaggi tra Camera e Senato per arrivare all’approvazione definitiva non fossero mai avvenuti. Certo, le carte sono rimescolate. Resta la guerriglia nel Pd tra renziani e resto del partito, ma per esempio Luigi Di Maio, Movimento Cinque Stelle, scrive su facebook che rispetto alla modifica della legge elettorale “le priorità sono altre”, mentre nel pieno del dibattito prima dell’approvazione parlò di una legge “pro corruzione” perché era come il Porcellum oppure, dall’altra parte, Angelino Alfano che vuole il premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Per ora chi resiste almeno  – nonostante i retroscena dei giornali dai toni contraddittori giorno dopo giorno – è il presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Mi scrivono: ‘Non si provi a cambiare l’Italicum…’. A me lo dite?” ha tagliato corto durante il suo #matteorisponde by night da Palazzo Chigi. La stessa linea la tengono i suoi, a ogni livello.

Ma il sospetto (che per qualcuno è speranza e per qualcun altro è timore) è che in realtà la legge elettorale torni davvero in discussione. Come scrivono i Cinquestelle sul blog di Beppe Grillo tra “modifica della legge elettorale” e “posticipazione del referendum” (della quale per ora non si ha notizia), Renzi “ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere. Un baro da due soldi e con la coda tra le gambe”. Ma il M5s avverte che non serve “cambiare la legge elettorale per cercare di evitare l’inevitabile. Non si può fermare il vento con le mani. Quando il M5s sarà al governo la legge elettorale sarà ancorata alla Costituzione per evitare che i partiti possano cambiarla quando fa comodo a loro”. Secondo il leader dei Cinquestelle insomma “si fanno le regole ad partitum e quando non gli vanno più bene le cambiano, impegnando la Camera che costa 100mila euro al giorno a occuparsi dei loro affari e non degli interessi di dieci milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà o delle imprese che chiudono a centinaia ogni giorno”. Infine il Movimento rivendica come abbia “combattuto contro l’Italicum, presentato una legge elettorale scritta in Rete e cercato il dialogo con il Pd per una legge che fosse a garanzia dei cittadini, non dei partiti. Renzi ha pensato solo al suo. Ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere”. Al ballottaggio, secondo loro, Renzi ha paura di esser battuto con un 70-30 come successo a Roma”.

E riemerge anche chi ha subito l’avvento di Renzi al potere, cioè l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta: “L’Italicum non andava fatto – dice – Il mio ultimo atto da deputato è stato votare contro una legge che è come il Porcellum. Renzi l’ha voluta su misura di sé e del Pd al 40 per cento. Difficile tornare indietro, anche perché sembrerebbe di farlo contro M5S. Ma votare con l’Italicum sarebbe irresponsabile”. Secondo Letta “servono leader che uniscano, non leader che semplificano e dividono. Quando semplifichi, a furia di cancellare e di tagliare ogni complessità, arriva qualcuno che semplifica più di te e che alla fine ti manda a casa”. Per l’Italia, insomma, voler introdurre un sistema simil-presidenziale come quello che esce dall’Italicum è un errore profondo, una spinta artificiale che provocherà gli stessi danni di cui soffrono oggi altri Paesi europei. I sistemi presidenziali ti danno la forza, ma non ti obbligano a includere. E invece questo è il tempo di unire. Di fare coalizioni”.

Ma sul no alle modifiche della legge elettorale, in verità, per il momento tutto il gruppo dirigente renziano sembra compatto: “Con l’Italicum – dice al Corriere della Sera il capogruppo alla Camera Ettore Rosato – abbiamo costruito un impianto solido, che garantisce la governabilità e la rappresentanza e che risolve quei problemi che anche oggi possiamo rivedere in Spagna. Detto questo, non abbiamo mai negato il dialogo”. E per coincidenza usa le stesse parole di Di Maio: “Le priorità del Paese” sono “altre, semplificazione, lotta alla disoccupazione, lotta alla povertà”. La stessa prudenza del capogruppo al Senato Luigi Zanda, anche lui di indubbia fede: “Sarebbe la prima volta che si modifica una legge elettorale mai sperimentata”.

Meno sorprendente è la posizione della sinistra del Pd – parte della quale non votò la legge – che torna a ringalluzzirsi dopo la mozione di Sinistra Italiana che sarà discussa a settembre (anche se sulla costituzionalità e non sul merito). La riaccensione del juke box delle dichiarazioni sull’Italicum è soprattutto merito loro. Miguel Gotor per esempio non perde il turno nemmeno a questo giro e non si accontenta di generiche modifiche: la legge va proprio cambiata, non corretta, dice. “Perché – aggiunge parlando a Repubblica – tra la cosmetica e una legge che garantisce davvero maggiore rappresentanza preferiamo la seconda strada”. La mozione di Si non basta: “Tocca a Renzi prendere l’iniziativa”. 

La modifica più richiesta è al momento l’introduzione del premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Lo chiede Forza Italia e questo è arcinoto perché Silvio Berlusconi vuole unire il fronte del centrodestra con Lega Nord e Fratelli d’Italia perché altrimenti nessuno dei tre partiti ha speranza di giocare alcun ruolo alle Politiche. Ma ora lo chiede anche Area Popolare – segmento fondamentale della maggioranza – e l’idea è condivisa appunto anche dalla fetta di renziani che seguono il ministro Dario Franceschini. Il punto vero di tutta questa discussione è che qualsiasi modifica si decida di fare, servono i voti in Parlamento: chi vuole realizzarle, osserva insomma il renziano Andrea Marcucci, deve trovare una maggioranza che le voti in Parlamento. E al primo giro non è stato per niente facile.

Poi c’è la riflessione politica, però. Qui si inserisce anche il consiglio di un renziano extraparlamentare, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore democratico: “Non ci sono i tempi tecnici per cambiare una legge elettorale prima del referendum costituzionale d’autunno: e se Renzi vincerà, molte cose cambieranno… – dichiara alla Stampa – Ma al fondo mi sembrerebbe suicida chiedere di cambiare una legge elettorale perché ti fanno paura i Cinque Stelle. Una posizione che definirei ‘sconfittistica’. Non reggerebbe di fronte al Paese”. Renzi sembra di questo avviso. Per ora.

Articolo Precedente

Chiara Appendino, il discorso di insediamento della sindaca di Torino: “Occorre nuova concezione della politica”

next
Articolo Successivo

Torino, Appendino annuncia: “Taglio spese del 30% per staff, giunta e dirigenti fiduciari”

next